Uno dei vantaggi della pratica dell’Aikido è che il nostro allenamento è una combinazione unica di tecniche a mano libera e armi.
Siccome NON sarebbe saggio lasciare che casalinghe, impiegati in sovrappeso, studenti e pensionati brandiscano katana e coltelli affilati, di solito usiamo repliche in legno di spade e coltelli.Il jo, il lungo bastone che reggeva un tempo una punta di lancia, è naturalmente fatto di legno.
In qualche modo fin dall’infanzia più siamo abituati a dare colpi a destra e a manca (e a riceverne) con bastoni, rami, manici di scopa…E questo rende la pratica più familiare, meno ostica.
Ad ogni modo, il punto è che quando ci alleniamo nelle tecniche di spada, lavoriamo allo sviluppo della precisione e della capacità di prendere decisioni. In una parola, dell’intenzione.
Non importa se ci stiamo allenando nell’Aikiken col metodo di Morihiro Saito o se ci affidiamo ad altri stili e scuole (ad esempio Kashima o Katori Shinto Ryu). Naturalmente potremmo iniziare lunghe discussioni sulla coerenza delle tecniche di arma con quelle di tai jutsu, essendo il metodo didattico di Saito più integrato e collegato attraverso tutti i passaggi codificati (tai jutsu, buki waza), ma questo porterebbe a un tale flusso di commenti che Internet potrebbe collassare, con gravi danni alla società.
Ogni colpo che eseguiamo con una spada, migliora le nostre capacità. Radicamento, estensione, precisione, controllo, rilassamento, distanza, inclinazione, velocità…
Sia in una prospettiva fisica sia metaforica, eseguiamo una sequenza di atti di divisione, di discernimento. Una sorta di “potatura” di impurità tecniche e mentali.
Mentre una presa e, nella maggior parte dei casi, un pugno e uno colpo (anche con il jo) possono provocare dolore reversibile -come testimoniano i lividi dopo alcune lezioni- il taglio definisce un “prima” e un “dopo” rispetto ad una situazione che non sarà mai più la stesso. Mai più.
Se si è fortunati e il proprio sensei ha un certo livello di padronanza e competenza in fatto di spada, probabilmente i termini di ukeru ken, kimeru ken, satsujinken e katsujinken saranno familiari.
Cercando di condensare secoli di cultura e spiritualità giapponesi, potremmo affermare che nei tempi antichi la spada era uno strumento molto comune. Utile sia per farsi strada tra la boscaglia, sia per difendersi. O per prevalere su qualcun altro. O tutte quelle cose insieme.
Quindi c’era un modo di usare la spada con una qualità che poteva “dare la morte” (satsujinken) o, al contrario, in un’attitudine che poteva servire a proteggere e difendere, dando quindi “vita” (katsujinken).
Una delle storie giapponesi più famose parla di due fabbri, maestri di spade, Masamune e Muramasa, e tutto nella storia si fonda su questi due concetti.
In questo quadro, è facile capire perché la pratica della spada sia sempre legata ai concetti dualistici di “ukeru ken”, la spada che assorbe un attacco e “kimeru ken”, la spada che mette un “kime” definitivo, l’intenzione finale in un’azione.
Un approccio superficiale e ingenuo allo studio e alla pratica del ken e la conoscenza parziale e polarizzata delle premesse storiche e culturali su cui si fonda, può portare a qualche pericoloso fraintendimento.
Vedere la spada come uno strumento in grado di ripristinare l’ordine dal caos non è né una cosa buona né cattiva. In effetti, tutta la teogonia giapponese parte da una lama di corallo che dà forma alle isole giapponesi dal caos originario.
Eppure, la spada aveva – e come archetipo, ha ancora – una forte valenza di uno strumento militare per assicurare l’ordine in una società. Un tipo di ordine che viene garantito attraverso la repressione di tutto ciò che non è permesso…Da coloro che hanno la spada in pugno.
Pensare di essere capaci di praticare un’Arte Marziale in questo stato in modo perenne, ovvero che siamo in grado di passare liberamente da satsujinken a katsujinken, potrebbe essere l’obiettivo finale del nostro processo evolutivo tecnico.
Ma, certamente, non è quello che O ‘Sensei ha detto ne “L’Arte della Pace” quando ha scritto: “Anche se il nostro percorso è completamente diverso dalle arti militari del passato, non è necessario abbandonare totalmente le vecchie modalità. Assorbi tradizioni venerabili in questa nuova arte vestendole con abiti freschi e costruisci gli stili classici per creare forme migliori “
Inoltre, pensare di essere in grado di gestire ogni situazione (sul tatami, fuori dal dojo) con una calma perfetta, arrogandosi la capacità di valutare cosa sia degno di essere terminato e cosa no, non è reale.
Semplicemente: non è il modo in cui siamo equipaggiati su questa Terra.
Ci sarà sempre un confine che definirà la nostra zona di comfort. E contro quel confine orde di barbari pensieri ed eventi cercheranno di muovere guerra. Sempre.
Eppure, a volte, ognuno di noi, specialmente mentre sventola un ken, sente un più alto senso di potere. Il nostro sistema non è abituato a prendere molte decisioni di proposito. Dobbiamo addestrare e pulire il nostro processo decisionale.
Il semplice ripetere dei fendenti, senza un coerente lavoro interiore sull’intenzione che mettiamo mentre colpiamo, può portarci nella tentazione di fingerci come onnipotenti.
Il che è infantile. Ed è la morte dello scopo dell’Aikido, che è quella di assicurarci una formazione continua, basata sull’ammissione che il nostro sviluppo non è completo. Non ancora.
Assaggiare il gusto della capacità di dare la morte o conservarla è un bene. Abbiamo il potere e la responsabilità che ne deriva.
La pratica del ken è una cosa molto buona: la nostra vita quotidiana ha bisogno di sperimentare la definitività, l’idea che qualcosa fatto nel passato riecheggi nel presente e nel futuro. Con buone onde o impatti totalmente negativi.
Un fallimento sarà valutato come un fallimento, così come un successo. Un tradimento non cambierà il suo nome. Una relazione guarita non guarderà sempre al suo passato faticoso e spiacevole.
In questo caso, la pratica aiuta la vita a portare altri frutti di vita.
Se rimaniamo impantanati nel vedere noi stessi come guerrieri perfetti, una specie di robot con tecniche perfette e nessuna comprensione del significato di ciò che stiamo studiando, perdiamo molte buone opportunità per crescere e creiamo un’immagine distorta di noi e di cosa facciamo finta di vivere, in abiti da perfetti samurai.
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