Recentemente ho partecipato alla stesura di un progetto europeo il cui scopo era sviluppare una metodologia e degli strumenti informatici per combattere il fenomeno dell’ istigazione all’odio (hate speech) su Internet.
È una nicchia piuttosto interessante di quella che viene solitamente definita “innovazione per la società” e affronta un problema grave e diffuso nella società occidentale o se preferiamo,”sviluppata”. Un sacco di persone soffre gli effetti di un ingente quantitativo di odio che fluisce sempre più dai social network alla vita reale. Negando opportunità di lavoro, formazione, stabilità, sicurezza a tante donne e uomini.
Così, mentre stavo studiando la letteratura per rendere più congruo il mio contributo al progetto, mi sono imbattuto in quello che può essere definito un pilastro in questo giovane campo di ricerca. Si tratta di un breve saggio dal titolo “I troll vogliono solo divertirsi – Trolls just want to have fun“, della prof. Buckels et al. dell’Università di Manitoba, in Canada.
Fondamentalmente questi ricercatori hanno studiato il fenomeno dei cosiddetti “troll”, quegli individui che passano molto tempo a postare commenti sullo stato e sulle pubblicazioni di qualcuno, spostando l’oggetto originale della discussione solo per sottolineare il loro punto di vista e, contemporaneamente, operare come “agenti del caos” su internet, facendo ammattire gli altri utenti e spingendoli a reazioni tali per cui possano essere definiti come “eccessivamente emotivi”. In qualche modo, finendo per far passare gli autori originali di post molto neutrali come fondamentalisti o comunque -isti.
La ricerca fornisce risultati chiave sullo studio della personalità dei troll e ha rivelato modelli simili di relazioni tra troll e ciò che gli psicologi indicano come la “quadriade oscura” della personalità: il trolling pare correlato positivamente con tratti di sadismo, narcisismo, psicopatia e machiavellismo.
Almeno una volta al giorno, scorrendo gli stati di Facebook, ognuno di noi può facilmente trovare una discussione in cui alcuni troll contribuiscono a degenerare il livello degli scambi in qualcosa che ha le sembianze più di un conflitto senza quartiere che di un dibattito tra una pluralità di posizioni.
I forum delle arti marziali e i post degli di chi le frequenta sono esposti allo stesso rischio.
In realtà, leggere alcuni post ed i relativi commenti solleva più di qualche dubbio sul livello di comprensione dei principi di base non solo della disciplina marziale stessa, ma, in verità, delle regole di base della vita in questo mondo.
Sadismo, narcisismo, psicopatia, machiavellismo… Non stiamo esagerando su ciò che, in fin dei conti è un normale scambio di vedute su un social network?
Forse. O forse non stiamo esagerando affatto.
Come praticanti di una disciplina marziale, siamo fortunati. Abbiamo uno strumento potente che rende più facile smascherare noi stessi e le nostre reali intenzioni: la pratica.
Quante tecniche pratichiamo con l’intenzione inconfessabile di dominare, sottomettere, sottolineare la nostra superiorità?
Quante volte manipoliamo noi stessi e gli altri cosicché la nostra tecnica possa sembrare “bella e buona” quando in realtà non lo è affatto?
Quante volte siamo dei “troll” per la nostra stessa pratica e per quella altrui? Il nostro bisogno di sentirci più forti, più grandi, più potenti, più giusti e con più… like di altri, è così necessario per essere un vero coso-ka?
Quanto comprendiamo che nella maggior parte dei casi stiamo in realtà distruggendo un percorso nostro e altrui, sprecando delle opportunità e non piuttosto creando ?
Che tipo di messaggio inviamo tramite il nostro corpo digitale? Se a volte siamo troll nel Web, siamo sicuri di non essere troll sul tatami? E viceversa?
Forse non siamo abbastanza consapevoli dell’impatto sul lungo periodo delle nostre parole e dei nostri comportamenti.
Probabilmente nessuno di noi vorrebbe diffondere attivamente l’odio.
Sicuramente ciascuno di noi ha un’opinione di sé tutto sommato positiva: in fondo siamo tutti brave persone, no?
Ma diventare dispensatori automatici di fango succede più facilmente di quanto pensiamo. Un commento tagliente e impulsivo di qua, una chiamata alle armi di là per criticare questo o quel tale che osa avere opinioni diverse dalle nostre. Preferibilmente con l’attitudine vigliacca di spandere critiche senza coinvolgere l’interessato.
Prenderla sul personale e dedicare tempo -tanto tempo- a fare i castigamatti sul web sono indicatori del nostro sviluppo e della capacità di coltivare relazioni e, probabilmente, mostrano qualcosa che cerchiamo di negare in ogni modo: la nostra solitudine, amplificata dai social network.
O, in definitiva, la nostra incapacità di ammettere che il più delle volte stiamo cercando di convincere noi stessi di essere quello che non siamo, dialogando con le maschere che via via indossiamo per sentirci meno soli.
E allora diventiamo Narciso, che anziché specchiarsi negli altri, finisce con l’innamorarsi solo della propria immagine.
Diventiamo il marchese de Sade, incapaci di provare piacere in una relazione dove conta anche l’altro, piuttosto costringendolo con la forza e la violenza a fare quello che comunque avrebbe fatto.
Diventiamo Machiavelli, talmente abituati ai giri tortuosi da non riuscire più a tenere una direzione precisa.
E questo continuo cambio di personalità porta lentamente la nostra anima in una condizione non sana: la psicopatia, appunto.
O pensiamo che gli piscopatici siano sempre e solo gli altri ?
Benedetto sia allora ogni strumento, compreso il Dojo, che ci obbliga a uscire dalla nostra testa e da questa solitudine e vivere una vita un po’ più reale.
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