“Studia di farti amare piuttosto che farti temere”. Nel 1871 Don Bosco scriveva questa frase, insieme ad altri consigli, al direttore responsabile della Casa Salesiana di Lanzo (TO).
Sono cresciuto all’interno del sistema educativo salesiano: ne ho apprezzato i doni, ha plasmato il mio carattere, forgiato la mia persona. E’ stato il primo luogo, al di fuori della mia famiglia di origine, in cui ho conosciuto persone che si sono date totalmente. Per un ideale e, in mezzo a tanti, per me.
“Darsi totalmente” è qualcosa che richiama molto le dinamiche che proviamo a replicare e fare nostre al Dojo.
Con l’avanzare del tempo, della pratica e dell’esperienza, emergono tuttavia alcuni aspetti che possono essere di ostacolo se non ci si lavora sopra.
Quando siamo bambini o adolescenti vediamo questa o quella persona che ci vuole bene come il nostro eroe senza macchia. Poi, crescendo, l’immagine resta nitida ma iniziamo a cogliere, insieme ai tanti (e magari ulteriori) aspetti positivi, anche qualche limite. Qualche difetto.
Darsi totalmente significa inevitabilmente trasmettere anche i propri limiti, insieme al tanto di buono. Non significa certamente assurgere ad una dimensione angelica. Siamo uomini e donne, esseri capaci di enormi slanci e di incredibili abissi.
Nella nostra pratica, se drizziamo bene le antenne, quante volte riusciamo a capire qualcosa di noi, di una tecnica, grazie al nostro compagno? E quante volte succede l’opposto? Ad essere onesti, al netto dell’indispensabile impegno personale, quel lavoro che nessuno può fare al nostro posto, dobbiamo dire grazie a qualcun altro per quasi tutto quello che siamo.
Succede tuttavia che tutta questa riconoscenza e questa armonia siano merce piuttosto rara. O che quando finalmente riusciamo a farne esperienza, spesso evapora, come neve al sole.
Diciamocelo: si fa una fatica bestiale a provare a vivere determinati principi che pure ci sono chiarissimi e che ci piacciono anche tanto. E magari abbiamo anche la fortuna di frequentare un Dojo sano. Un sensei competente.
Grosso modo, è la replica di quanto accade a quasi tutti da bambini al catechismo, da più grandi all’oratorio o nei gruppi di volontariato o la domenica un minuto dopo che si esce dalla Messa. Sì sì ok Gesù, il prete è bravo bla bla bla…Ma ricomincia la mia vita uguale a prima.
Ad oggi sono sempre più convinto che la frequenza continuativa di un ambiente come un Dojo debba potere offrire a tutti una solida base di competenze tecniche.
Contemporaneamente, ad oggi sono fermamente convinto che se un praticante di Arti Marziali coltiva solo questa dimensione senza sforzarsi di costruire relazioni sane dentro il Dojo (e quindi fuori), stia sostanzialmente perdendo tempo. Di più: stia posizionando mine devastanti ai pilastri della propria esistenza.
Certo, è un’opzione possibile e come tale va accettata come espressione della libertà di cui godiamo.
Però, tornando alla frase di Don Bosco, mi chiedo se proprio valga la pena “farsi temere” anziché farsi amare.
Se per noi debba parlare solo il timore indotto dal fatto che applichiamo roboticamente delle tecniche o anche qualcosa di più, qualcosa che viene da dentro.
Che senso ha scambiare sudore, farci toccare, finire con la faccia dove l’altro aveva il suo piede…Se poi non siamo capaci di entrare al Dojo con un sorriso, salutare, interessarci dell’altro ogni tanto anche nell’arco delle 168 ore settimanali?
Certo, nessuna persona che abbia esperienza di vita può raccontare il rovescio della medaglia. Quello lo scopri da te.
Don Bosco credo lo sapesse, per quello non ha aggiunto l’ovvia considerazione: “Guarda che ci sarà gente che, per quanto ti affanni, sarà totalmente impermeabile”.
Scopriamo abbastanza in fretta che non possiamo piacere a tutti. Che ci sono persone (e che noi lo siamo a nostra volta) che per quanto provi a comunicare il tuo volerle bene, ti restituiscono una glaciale indifferenza. Quando va bene.
Beninteso: questi sono utilissimi schiaffi al nostro ego. Il quale spesso ci spinge a ritenerci come gli Eletti, come coloro che col proprio amore salveranno un mondo fatto di poveretti anaffettivi… Quanta boria!
Tuttavia, rimane la responsabilità in capo a ciascuno di noi di provare a vivere il momento presente, fatto anche di keiko e di momenti di comunità al Dojo, in modo da sfruttare o non sfruttare l’occasione per crescere anche nella sensibilità.
A questo dovrebbe servire anche un Dojo, a mettere gradualmente il proprio ego da parte e al centro il reciproco bene. Qualche riga dopo, don Bosco completa il concetto:
“Studia di farti amare prima di farti temere; nel comandare e correggere fa sempre conoscere che tu desideri il bene e non mai il tuo capriccio”.
Fintantoché penseremo che ci sia il “mio” o il “tuo” bene, saremo sempre degli ottimi (magari) tecnici, brontoloni, musoni, autoritari, manipolativi, umorali…
Disclaimer Photo by Jude Beck on Unsplash