Nel marketing la comunicazione è fondamentale. L’obiettivo è essere ascoltati, creare fiducia, immedesimazione, empatia e…guidare il cliente ad un determinato comportamento. Che spesso coincide con l’acquisto o il consumo di un prodotto o un servizio.
Molto spesso, nel marketing, il pubblico è trattato e considerato come se fosse un bambino.
E’ famosa la citazione di un imprenditore che ha fatto le sue fortune trasmettendo programmi e raccogliendo la pubblicità sulle sue reti televisive:
“Il cliente, il pubblico, è un bambino di undici anni, neppure tanto intelligente”.
Si può discutere sulla spregiudicatezza di tali approcci, sul senso del limite tra etica e affari, sul considerare un bambino in termini dispregiativi o riduttivi rispetto ad un adulto.
E’ un dato di fatto che questo approccio è maggioritario. Per il precedente responsabile marketing di FCA, il cliente era come un bambino di otto, dieci anni. Per una delle menti più brillanti del marketing statunitense, cinque.
Dando uno sguardo alle discussioni che si generano tanto sui social quanto in tv o al bar, viene il sospetto che tali affermazioni non siano poi così campate in aria.
Circondati da una comunicazione dai contenuti volutamente sempre più striminziti e banali, contenuto e atteggiamento tendono a sovrapporsi e sfociano spesso in forme di rissosità (reali o virtuali) che urtano con l’immagine che si dovrebbe avere di un adulto.
Chi ha a che fare con i bambini sa quanto questi si sviluppino (anche) attraverso la contrapposizione con gli adulti e il loro mondo di regole.Quando però la risposta di fronte all’adulto è costantemente prevalentemente rabbiosa e di opposizione, si parla di DOP -Disturbo Oppositivo Provocatorio. “Disturbo” perché non consente al bambino di adattarsi e di armonizzarsi negli ambiti in cui vive: casa, scuola, relazioni.
I segnali di un DOP sono stati studiati in Psicologia e sono episodi in cui il bambino:
– spesso va in collera;
– spesso litiga con gli adulti;
– spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste o regole degli adulti;
– spesso irrita deliberatamente le persone;spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento;
– è spesso suscettibile o facilmente irritato dagli altri;
– è spesso arrabbiato e rancoroso;
– è spesso dispettoso e vendicativo.
La Psicologia individua tra i fattori potenzialmente determinanti nello sviluppo di tale disturbo eventi della vita del bambino in cui:
– è abusato o trascurato.
– riceve una disciplina particolarmente severa o inconsistente.
– ha mancanza di supervisione.
– ha genitori con una storia di deficit di attenzione o iperattività, disturbo oppositivo provocatorio o problemi di comportamento.
– vive una condizione di instabilità familiare.
– vive cambiamenti stressanti che ne minano il senso di coerenza.
Che cosa accadrebbe se sostituissimo la parola “bambino” con “adulto”? Con “noi”?
Quanto la nostra instabilità, quanto i cambiamenti stressanti, esacerbati da quanto stiamo vivendo e vissuti come abusi imposti dall’alto, quanto la riottosa fuga dal seguire una qualche forma di guida ci portano ad essere pulcini bagnati che per affermare se stessi vanno contro tutto e tutti?
Sarebbe facile banalizzare questo discorso portandolo sul binario della “mascherina sì, mascherina no; vaccino sì, vaccino no”.
Abituati a lavorare -anche sul tatami- per cercare di portare alla luce la parte immersa del nostro iceberg, ci chiediamo piuttosto se tutto quanto stiamo vivendo non possa essere un utile stimolo per comprendere qualcosa in più di noi.
Ad esempio, potremmo comprendere che l’attaccamento quasi ossessivo alle regole -o a quello che amiamo definire libertà individuale- potrebbe celare semplicemente un bel po’ di vuoti nel nostro vissuto e, in definitiva tanta ma tanta paura. Qualsiasi sia il contenuto di quello che esprimiamo pubblicamente.
Perché è più facile negare che conoscere.
Opporsi e non com-prendere.
Scaricare su altri le colpe del proprio disagio.
Celare dietro un “pro” il nostro essere capaci solo di “contro”.
Abbaiare alla Luna dell’autorità esterna e non essere capaci di libertà, quella libertà che sotto qualsiasi cielo può trovare un ritaglio di cielo puro in cui risiedere.
Irritarsi ed essere rabbiosi che dare contenuto alla propria identità.
Farsi trattare da bambino è un obiettivo alto: il bambino capisce quello che c’è da capire, sente col cuore. Il marketing è riuscito a inquinare questo meccanismo che però non è così complesso da restaurare. Serve solo tanta verità e la voglia di mettersi in gioco.Per esempio (anche) entrando in un dojo.