“Non guardate il vostro avversario negli occhi: potrebbe ipnotizzarvi. Non fissate il vostro sguardo sulla sua spada: potrebbe intimidirvi. Non concentratevi affatto sul vostro avversario: potrebbe assorbire la vostra energia. L’essenza dell’allenamento è portare il vostro avversario completamente nella vostra sfera. Solo allora potrete stare lì dove desiderate”
In queste parole di Morihei Ueshiba contenute ne “L’Arte della Pace” risuona forte l’eco delle radici marziali dell’Aikido, che affondano in secoli di perfezionamento di tecniche di combattimento per la supremazia militare durante uno scontro.
Sul tatami come fuori dal Dojo, si fa esperienza quasi continua di quanto sia facile diventare ostaggi di una presa, di un blocco fisico, emotivo, relazionale.
Una persona ci afferra il polso e l’intero fisico diventa goffo nel cercare di liberarsi. Maneggiamo il polso del nostro compagno di pratica e siamo così intenti dall’applicargli una leva articolare che ci dimentichiamo della nostra postura e di quanto siamo scoperti rispetto ad altri attacchi. Un’aggressione verbale, una risposta tagliente, una raccomandata imprevista nella buca delle lettere…E tanti propositi di equilibrio, di armonia e di pacifica convivenza evaporano, alla stessa velocità con cui il tarlo della preoccupazione corrode la nostra serenità.
In alcuni gruppi di praticanti di Aikido si tende a prendere alla lettera le raccomandazioni di O’Sensei e quindi l’attività, vista dall’esterno, sembra un insieme di esercizi a metà tra strabici e asociali che guardano “altrove”.
La logica del 対手の気を出す (aite no ki wo dasu: assorbo il ki del mio avversario) è appunto quella che Morihei Ueshiba riassume nel concetto di “portare l’avversario” nella propria sfera.
Una prospettiva globale, diremmo olistica, che si contrappone ad una visione particolare, autoreferenziale ed ossessiva sul singolo dettaglio.
Chissà perché, queste parole del fondatore dell’Aikido mi hanno sempre fatto venire in mente la colonna sonora di Rocky III, Eye Of The Tiger, dei Survivor.
It’s the eye of the tiger, it’s the thrill of the fight
Risin’ up to the challenge of our rival
And the last known survivor stalks his prey in the night
And he’s watchin’ us all with the eye of the tigerE’ l’occhio della tigre, è il brivido della lotta
Rispondere alla sfida del nostro rivale
E l’ultimo sopravvissuto conosciuto insegue la sua preda nella notte
E ci guarda tutti con l’occhio della tigre
“L’occhio della tigre”, al di là dei livelli di testosterone hollywoodiani è lo sguardo con cui tutto ciò che è al di fuori della nostra comfort zone quotidianamente si affaccia ai suoi confini. Ed è un attimo, in assenza di allenamento, esserne sopraffatti. Basta vedere il comportamento di tante persone in questo periodo di forte incertezza sociale e di enorme pressione emotiva e mediatica legata alla pandemia.
Osservando gli animali, specialmente i felini, si ha immediatamente la comprensione dell’importanza dello sguardo. Prima di un salto, durante le lunghe schermaglie prima delle loro zuffe…Lo sguardo è il portale dell’intenzione e l’azione ne è “solo” conseguenza.
La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra.
Questo è, infine, un brano del Vangelo, che pone definitivamente enfasi sugli stessi concetti.
Abituarsi a sostenere lo sguardo, a mettere la nostra luce nella luce altrui è una palestra faticosa, necessaria, liberante. Che aiuta a scoprire intenzione e identità.
Purificare questa luce ci allena ad ottenere il nostro “occhio di tigre” ed essere un po’ più autentici.
Disclaimer: Photo by Benedetta Gemini