Qualche anno fa Torino ha ospitato le Olimpiadi Invernali. Per qualche tempo la città è stata inondata di cartelloni che ovunque ripetevano: “Passion lives here!”, la passione abita qui.
Poco tempo fa, sempre a Torino, si è svolta l’edizione del 2022 dell’Eurovision Song Contest e, nel palazzetto che ospitava la manifestazione, in un corridoio troneggiava l’enorme scritta: “Passion lives here”.
Un cartellone, appiccicato lì, ad un muro troppo in alto perché qualcuno si prenda la briga di faticare per rimuoverlo. E così la passione vive lì, cristallizzata. Fuori dal tempo e fuori dal contesto.
Nel Dojo dove studiamo Aikido, ieri è stato ospitato un sensei di grande umanità ed esperienza e, insieme, abbiamo riflettuto nella pratica su quanto i nostri ambienti rischino di essere condizionati e senza passione.
Una passione che significhi esserci, divertirsi insieme, cercare di capire, darsi anche e soprattutto perché si è pieni di limiti a cui non permettere di avere l’ultima parola sulle nostre scelte.
E’ ovvio che se le nostre “passioni” (che è un termine che non mi piace nemmeno tanto, forse sarebbe meglio “scelte”) sono come quei cartelloni delle olimpiadi, allora il rischio reale è di andare avanti come automi senza la luce di alcuna speranza, volontà, desiderio, progettazione, ideale.
C’è del resto una fase iniziale, che può durare anni, in cui ci si avvicina ad un ambiente in cui si cerca di orientarsi in un sistema di riferimento nuovo senza comprendere granché. Ci “si appiccica” addosso alla bell’e meglio un cartellone e siamo sinceramente convinti che…la passione vive qui, dentro noi.
Poi il tempo passa e se quel fuoco non lo si coltiva, personalmente e in gruppo, si rischia di credere più al cartellone che alla realtà. E trovarsi dopo anni o decenni, fuori dal tempo e dal contesto a ripetere ad indentificarsi col cartellone di un qualcosa che vive nel passato.
Lo stesso vale nel caso in cui non si riconosca che il fuoco è sì una gran cosa: scalda, protegge, serve per preparare ottime pietanze da condividere…Ma deve essere gestito con sapienza, per non avere effetti indesiderati.
I principi, che piaccia o meno, sono veicolati dagli ambienti e dalle persone. Questa combinazione fa sì che a volte le fiamme siano libere e non così salutari per chi vi si avvicina. In questo caso la passione, nel suo senso originale, di sofferenza, può realmente abitare dentro noi. E non ne vale la pena.
Interrogarsi ciclicamente su che cosa animi ciò che facciamo e ciò che siamo è qualcosa di molto necessario. Domandarselo all’interno di una pratica fisica è una sfida: il corpo non mente e quindi potremmo scoprire che l’immagine della nostra “passione” è decisamente distante da quello che il nostro sistema comunica. O non comunica.
Il punto è che siamo tutti molto abili a pensare che questo tipo di discorso riguardi solo e sempre gli altri. Siamo fabbricatori seriali di alibi, da un lato. E contemporaneamente, dall’altro, siamo tutti più o meno sinceramente desiderosi di qualcosa che ci scaldi il cuore. Più o meno consciamente siamo alla ricerca del senso.
Una pratica chiara, un riferimento tecnico ben ordinato e un ambiente di pratica pulito sono certamente condizioni al contorno utili per un lavoro che, tuttavia, riguarda solo ciascuno di noi e che ha nell’impegno costante a coltivarsi con curiosità l’unico antidoto ad un altrimenti inevitabile declino in un museo delle passioni di un tempo.
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