Si racconta che Morihiro Saito Sensei, durante le sessioni dan, si “limitasse” a valutare l’esecuzione della sola tecnica katate dori tai no henko (片手取り体の変更) e congedasse così i candidati, promuovendoli o meno.
Di tutto l’arsenale codificato dell’Aikido, tai no henko è certamente una delle tecniche più inutili sotto il profilo del combattimento e dell’immobilizzazione fisica dell’attaccante.
Eppure, in effetti, più la si pratica, più questa sequenza di movimenti mostra tutto ciò che è necessario durante un percorso di crescita nella disciplina.
Centralità, rilassatezza, respirazione, connessione, estensione, radicamento, intenzione, equilibrio, bilanciamento, fluidità, precisione, intensità, chiarezza, solidità, libertà… Queste alcune delle qualità che la tecnica richiede e svela nel tempo.
Se poi si passa dal piano fisico a quello relazionale ed emotivo, tai no henko dimostra efficacemente che lo squilibrio avviene per effetto dell’intenzione dell’attaccante di rimanere fedele alla presa che ha deciso di agire; che alla fine “aggredito” e “aggressore” risolvono una situazione di conflitto bloccante trovandosi entrambi a guardare verso la stessa direzione; che l’integrazione dell’attaccante in una prospettiva non duale co-crea letteralmente l’azione marziale.
Man mano che la complessità tecnica si sviluppa nei mesi e negli anni, il praticante di Aikido, come ogni praticante di una disciplina, apprende una grammatica sempre più elaborata. Si diventa capaci di rispondere e di dialogare col conflitto con un’ampia gamma di elementi e soluzioni.
Tuttavia, è esperienza comune toccare il limite. Anche nella migliore forma fisica e tecnica, arriverà prima o poi un momento della pratica in cui di fronte ad un attacco la risposta non sarà così fluida, immediata, spontanea.
Allora si torna indietro, all’elemento fondante. A quel condensato di principi che troviamo soltanto in tai no henko. E con molta umiltà si riparte da lì -da quel punto in cui peraltro non è detto che sia tutto immediato e di facile esecuzione.
Dalla prima giovinezza in poi si fa ampia esperienza del limite nelle relazioni. Tutti tendiamo per natura ad una vita tranquilla e ricca nei rapporti interpersonali. Spesso non ci capacitiamo di come mai con quella tal persona o in quel particolare momento o in quel contesto, nonostante le migliori intenzioni semplicemente non piaciamo a tutti.
Eppure è quello che tutti più o meno pensiamo: come è possibile che una personcina così brillante, garbata e con un cuore così grande, non sia accettata, capita; piuttosto anche avversata, talvolta…
Si ritiene, a ragione, che le Arti Marziali aiutino chi le pratica a sviluppare una cultura del rispetto nelle relazioni interpersonali.
Tai no henko ci insegna che a volte, tutto ciò che si può fare con una persona non è altro che stare insieme a lei e guardare nella stessa direzione.
Che a volte non è semplicemente possibile -o sarebbe l’estrema delle finzioni- piroettare insieme, concatenare tecniche mirabolanti, proiettare un compagno di pratica in orbita.
Che in realtà le tecniche sono spesso sporche, insicure, aride e che proprio per questo ci si sorprende quando sboccia in modo imprevisto quella spontaneità in cui c’è la perfezione del gesto.
C’è qualcosa di incredibilmente profondo in questa…noiosissima tecnica, che parla di noi, oltre che della qualità della nostra pratica, molto più di tante primizie del programma di esame che fanno bella mostra di sé nelle tante locandine promozionali di corsi e stage.
Foto courtesy Sandra Bridel