Esiste un legame tra etica ed estetica? E se sì, può essere allenato?
Sono questioni che l’essere umano si pone da tempo. I Latini avevano dato una risposta sbrigativa, secondo la loro cultura: “nulla ethica sine aesthethica”. Non c’è etica, senza estetica.
Siamo tutti intimamente convinti di avere buoni riferimenti estetici. Ci fa piacere pensare di essere riconosciuti come persone con una solida etica.
Non ci addentriamo in un terreno già esplorato da tanti, da Nietsche a Wittgenstein. La filosofia dell’estetica è interessante ma la lasciamo per ora agli addetti ai lavori.
Prima ancora che come praticanti di una disciplina, siamo esseri umani. Talvolta non si direbbe, specie dopo otto ore di allenamento. Però, sì: siamo persone.
E come tali tutto il nostro apprendimento si basa sull’esperienza e la ripetizione di forme. Tutto. Il linguaggio, l’uso del corpo, la strutturazione del pensiero, le relazioni…
Siamo posti di fronte alle forme. Siamo introdotti alle forme. Ripetendole e adattandole; modificandole e talvolta creandone di nuove, siamo diventati quel che siamo.
Siamo letteralmente “colpiti” dalle forme e dall’esperienza che facciamo di loro. E per questo motivo impariamo. Questo è il significato profondo, non solo etimologico, della parola “estetica” (αἰσθάνομαι – aisthànomai).
E l’etica? Tendiamo a dare a questa parola significati ampi. Chiunque quando pensa a se stesso, nel definirsi una persona dotata di un’etica, fornisce un profilo autocelebrativo. Magari un po’ esagerato come i profili di LinkedIn. Citando “Matrix”, spesso viene fuori una cosa del genere:
“…programmatore per una rispettabile società di informatica. E’ iscritto alla previdenza sociale, paga regolarmente le tasse, e…. aiuta le vecchiette gettando per loro l’immondizia”.
Bello. Ci fa sentire bene.
Però l’ethos (ἦϑος) è a rigore l’abitudine, la consuetudine. Solo in un successivo momento, l’etica diventa la scienza della morale. Qualcosa che nasce dalla necessità di avere dei riferimenti per i comportamenti del singolo; della società; del singolo nella società; della società verso il singolo.
La pratica costante di una disciplina allena la ripetitività delle forme. La ripetitività delle forme genera una consuetudine. La consuetudine permette di avere delle griglie psicoattive attraverso le quali si costruisce gradualmente un criterio etico.
Diciamolo in termini più comprensibili.
Frequentare un corso, nel nostro caso di Aikido, significa trascorrere diverse ore ogni settimana sul tatami. Lì la nostra persona interagisce attraverso il corpo, con altre persone, attraverso schemi motori e comportamentali che seguono forme ben definite. Siccome il corpo non sa mentire, anche se appartiene al più grande bugiardo mai esistito, la pratica restituisce prima l’estetica, e poi l’etica.
Prima si diventa gradualmente sempre più fluidi nelle forme. Dalle goffaggini iniziali si passa a una maggiore grazia. Ad una crescente piacevolezza della pratica. Questo è il livello dell’estetica.
Siamo abituati a pensare all’estetica come qualcosa di frivolo. Non lo è. Perché nel momento in cui l’estetica colpisce, lascia sempre lo spunto per migliorare qualcosa di noi. O per notare qualcosa che prima non avevamo notato.
Ci sarà un motivo se gli esperti, di qualunque campo, non smettono di allenarsi ripetendo le tecniche della loro arte.
L’estetica però non può bastare. Il rischio è quello di creare un guscio estetico perfetto ma impenetrabile. Un luogo che alimenta l’asfissia e non l’evoluzione.
L’estetica apre la strada all’etica. Prima di tutto all’abitudine di fare qualcosa di costruttivo per sé.
Secondariamente, prepara le condizioni per una oggettiva valutazione del proprio modo di relazionarsi con gli altri.
Da ultimo, consente di avere un rimando oggettivo per sperimentare come poter migliorare. Non solo a livello mentale o fisico. Ma in un contesto, come quello di pratica, dove è tutto il sistema psicofisico ad essere coinvolto attivamente.
Esiste un legame tra etica ed estetica, quindi? Certamente sì. E’ un legame forte. Non può esistere la prima senza la seconda e viceversa, perché siamo fatti per la bellezza. Per conoscerla, preservarla e condividerla.
Si può allenare? Certamente sì. Senza ricorrere a grossi paroloni ma con la paziente attività quotidiana.
Pensiamoci: quando la maestra ci faceva riempire il quaderno di aste non facevamo molto diversamente da quanto facciamo sul tatami. Cento suburi, cento lettere a sul quaderno… Esiste una differenza?
Disclaimer: foto di Robert Katzki da Unsplash