L’Aikido incoraggia la ricerca personale. E’ risaputo.
Ma chi cerca l’Aikido?
Grazie agli strumenti di analisi messi a disposizione dai motori di ricerca e dalle varie piattaforme, è possibile abbozzare una risposta, che può stimolare riflessioni particolari.
Guardiamo ad esempio i trend di ricerca su Google dei seguenti termini: Aikido; MMA; Difesa personale; Judo; Karate.
Ci saremmo aspettati che l’interesse verso le Arti Marziali Miste (MMA) fosse preponderante. Invece, a dispetto del fatto che MMA rappresenta da sola globalmente oltre il 38% del mercato delle Arti Marziali, con il maggiore tasso di crescita a livello finanziario (fonte: Parimatch), i trend delle ricerche mostrano una realtà differente.
Ci saremmo anche aspettati che il tema della difesa personale fosse, data la sua sensibilità e importanza, molto più ricercato di quanto non risulti.
L’unica certezza è che, confrontato agli altri trend, l’andamento delle ricerche sull’Aikido ne riflette la sua essenza di nicchia -e pure le sintomatologie della sua comunicazione.
Se si analizzano le ricerche su YouTube, MMA torna a fare la parte del leone:
Gli strumenti di analisi consentono di identificare le ricerche collegate e i temi connessi alle ricerche principali. La mappatura delle abitudini di navigazione e di fruizione degli utenti è il mestiere dei giganti come Google. Ed è il motivo per cui guadagnano così tanto.
Diventa interessante notare come spesso le ricerche sul tema della difesa personale portino in egual misura a cercare approfondimenti sulle “armi per la difesa personale” come sui corsi, siano essi di Ju jutsu o Aikido. Allo stesso modo, l’aspetto del combattimento e delle competizioni sportive è la molla che porta Karate, MMA e Judo ad avere moltissime visualizzazioni, soprattutto su YouTube.
Una segmentazione per età e sesso è fornita anche da Meta:
Se insegnare significa proporre ad un pubblico un “servizio di restituzione” di quanto di buono una disciplina come l’Aikido ha portato nella sua vita, allora è bene fare qualche riflessione sulla base di questi dati -e delle abitudini di visualizzazione del pubblico.
Prima domanda: a chi parliamo?
Il “nostro” è un mondo con una preponderante presenza maschile, una nutrita schiera di utenti in età adulta e senior e una scarsissima presenza di giovani. Qualsiasi istanza di sostenibilità nel tempo, qualsiasi strategia comunicativa e organizzativa non può contare a tempo indefinito sulla presenza dell’utenza senior. Né è sano parlare ad un pubblico quasi mono-genere.
Occorre pensare a metodi comunicativi che sappiano parlare, in parallelo, tanto a chi è già un praticante quanto a chi può diventarlo, con la consapevolezza che il numero di chi può salire su un tatami è infinitamente superiore al numero di chi ci è già. Questo porta alla
Seconda domanda: che cosa diciamo?
Data la natura strettamente dilettantistica dell’organizzazione sportiva sul territorio, dal punto di vista della comunicazione moltissime realtà difettano di una comunicazione efficace. Quel poco che viene detto, viene detto spesso nei modi non funzionali perché passi un messaggio chiaro. Il contenuto poi del messaggio appare spesso confuso, oscuro. Guardando certe pubblicazioni (locandine, video, post) si genera spesso l’idea che un corso di Aikido sia un ibrido nato a metà strada fra uomini di mezza età esiliati da una bocciofila e dei fuoriusciti di una setta nata nel retrobottega di un ristorante di sushi.
Terza e ultima domanda: che cosa offriamo?
Per ripensare la comunicazione, occorre verosimilmente avere il coraggio di ripensare il contenuto dell’offerta. Ricordando che quanto pratichiamo è frutto di una elaborazione dinamica durata per tutta la vita del fondatore dell’Aikido e che la sua visione -offrire l’Aikido come strumento per facilitare la creazione di una “famiglia umana”- probabilmente richiede un po’ di elasticità implementativa.
Se da un lato infatti il concetto stesso di “disciplina” induce a pensare a un percorso lungo (lungo quanto un’intera esistenza), dall’altro ci rifiutiamo di pensare che, siccome l’Aikido è una disciplina, allora certe sue qualità non possano essere isolate per iniziare ad avere un primo contatto, più fruibile, più “veloce” e più comprensibile con una fascia di potenziali utenti molto più ampia.
Ci rifiutiamo di pensare, cioè, che una disciplina che fa dell’adattamento il suo fulcro, si chiuda a riccio, impossibilitandosi a mettersi in discussione con un mondo che va veloce. E che può trovare, nei principi metodologici dell’Aikido, risposte alla sua isteria. Senza svendere nulla ma senza ritirarsi su un Aventino di una presunta verginità che non esiste.
Ben venga allora ogni stimolo che viene dalla realtà. Una realtà che dice che gli interessi del pubblico vanno verso determinate istanze. Non semplicemente verso la “competizione” o l’ “arma per la difesa”. Ma dietro queste ricerche c’è un mondo di esigenze che solo una chiara identità di una disciplina e di una proposta didattica può e deve soddisfare.
Concludendo, probabilmente una delle motivazioni del basso posizionamento dell’Aikido rispetto ad altre discipline risiede nel fatto che laddove un combattimento di MMA offre su YouTube una rappresentazione comprensibile delle risposte alle ricerche dell’utenza, l’Aikido è molto meno intellegibile. Esattamente come lo sono i suoi portavoce.
In Giapponese, fotografia si dice shashin (写真), che letteralmente significa “copia della verità”. Da bravi occidentali ci piace pensare che la verità sia più ampia. Ad ogni modo, se fotografia della nostra realtà ci dice che siamo poco attrattivi e poco intellegibili, occorre farsi un serio esame di coscienza. Come praticanti e soprattutto come responsabili della diffusione della disciplina.
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