Il parco di fronte al palazzo imperiale di Tokyo è una vasta distesa di pini che crescono su un prato che sembra un campo da golf.
Questa vasta distesa di bonsai giganti è una rappresentazione della perfezione estetica a cui tende ogni forma espressiva del Giappone.
Non c’è spazio alcuno, nell’arte dei bonsai, per la libertà. La pianta viene forzata a prendere forme e dimensioni che sembrino naturali e che tuttavia non lo sono.
Lo stesso si percepisce in questo parco, dove i pini hanno dimensioni naturali ma le forme perfettamente irregolari dei bonsai.
La spontaneità è una qualità che ci attrae. Siamo costitutivamente affascinati da ciò che appare perfetto senza che tale perfezione richieda una preparazione, una costruzione a priori.
Nella pratica dell’Aikido si cita talvolta 武産合気, takemusu aiki, che viene tradotto erroneamente come Aikido spontaneo.
È ovvio che il livello più alto di una relazione, compresa quella marziale, sia un fluire spontaneo dello scambio che avviene tra le due persone.
Da questi meravigliosi parchi, però, apprendiamo il rischio di scivolare dalla spontaneità alla costruzione di essa.
Dalla libertà alla manipolazione.
E se takemusu aiki significa effettivamente creare il potere attraverso la relazione, allora l’estetica giapponese diventa un avvertimento costante a comprendere la natura di questo potere, a partire dalla sua finalità.
Manipolare o abbellire?
Rendere bello o forzare?
Fingere o migliorare?