E’ vero: quell’ O Sensei alieno, verde ma comunque con gli occhi a mandorla e che parla con i verbi all’infinito aveva detto così:
“Fare o non fare, non esiste provare”.
Ma Yoda Sensei vive in un futuro che esiste soltanto nelle pellicole di Guerre Stellari. I suoi insegnamenti si basano su principi veri: non si può sempre e solo provare a fare qualcosa, a un certo punto bisogna prendere una decisione.
Lo sa la natura, che scrive nell’istinto di un passero il momento in cui deve osare tuffarsi dal nido e diventare capace a volare.
L’essere umano è meravigliosamente semplice, forse più di un passero; eppure è incredibilmente complesso, perché oltre dall’istinto ha una sua volontà, che non sempre si accorda alla natura.
Le “lezioni di prova” al Dojo sono un buon esempio di questo fenomeno. E, insieme, sono una bella sfida, tanto per chi gestisce il corso, quanto per quegli allievi che si trovano ciclicamente il tatami popolato da nuove persone. Che “provano”, appunto.
Fino ad oggi, abbiamo visto diversi approcci in queste situazioni.
C’è quello che siamo abituati a chiamare allenamento “welcome“, dove la pratica si basa molto sulla percezione, sui principi. I ritmi sono bassi ma al contempo viene tenuta alta la parte psicodinamica, restituendo alle persone in prova qualche consapevolezza. In breve tempo si dimostra a sé stessi di essere capace di squilibrare una persona; di saper “prendere il punto di vista dell’altra persona” e, per questo, di saper risolvere un conflitto, anche se simulato. In poche parole: di aver investito bene quelle ore in cui si è andati a provare.
Ci sono approcci più markettari: se si conosce qualcosa della storia personale di chi viene a provare, il keiko viene modellato come fosse un innesto, una continuità rispetto alla traiettoria della persona. Questo succede, per esempio, quando viene a provare qualcuno che nel passato ha già praticato Aikido o qualche Arte Marziale tradizionale.
A volte, invece, la persona viene invitata a stare dentro la proposta didattica che quel giorno il responsabile del corso ritiene di fare agli allievi. Questo avviene quando le prove cadono in quella parte dell’anno in cui si è vicini agli esami e il gruppo -anche se non lo dirà mai ufficialmente- non è così entusiasta nel doversi in qualche modo livellare per includere qualcuno che, magari, non si iscriverà nemmeno al corso.
Succede talvolta che gli insegnanti usino questo metodo per dissuadere alcune tipologie di utenti dal frequentare. Lo abbiamo visto in tutte le salse: allenamenti da navy seals proposti a persone che volevano solo la parte introspettiva e allenamenti da bradipi proposti a persone che volevano “imparare a picchiare“.
Che dire?
Dio solo sa quanto una disciplina di nicchia, come l’Aikido, abbia bisogno, per puntare a un qualsivoglia futuro, di numeri. E’ una questione di sostenibilità e non solo per coloro che sono insegnanti di professione.
Tuttavia, la sostenibilità economica deve essere sempre abbinata a quella ambientale. Accettare tutto e tutti è un po’ come proporre un corso gratuito: nel medio termine non solo il corso non decolla ma implode è poi scompare.
Nella nostra comunità di pratica, la Evolutionary Aikido Community, si usa un’immagine molto bella: il Dojo è come un fuoco a cui tutte le persone possono avvicinarsi per scaldarsi.
Noi crediamo che con quel fuoco si possano cucinare e offrire delle pietanze. Alcune standard, altre personalizzate.
Del resto, nessuno di noi è mai tornato in tutte le pizzerie e in tutti i ristoranti in cui tutto sommato si è trovato bene. Ma certamente nessuno di noi è mai tornato, di sua spontanea volontà, in quei posti in cui cuoco e cameriere hanno imposto la loro scelta rispetto all’ordine fatto.
Quindi, per usare la metafora del ristorante, serve certamente un cuoco che sappia cucinare e un cameriere che sappia leggere le necessità del cliente. Serve una sala pulita, in cui il nuovo cliente si senta accolto. E serve chiaramente…il cliente, che se non sa che esiste il ristorante, difficilmente ci entrrà.
Il Sensei è cuoco e cameriere nello stesso tempo. Alcuni saranno capaci di produrre menù stellati; ma il mondo è pieno di piccole trattorie che funzionano bene con menù semplici ma completi in cui è difficile trovare un tavolo libero.
Compito di cuoco e cameriere è tenere un locale accogliente. Il gruppo in qualche modo attrae o respinge una persona in prova almeno tanto quanto il menù. Questo è un dettaglio che spesso trascuriamo ma è, a nostro modo di pensare, fondamentale.
E allora, prima di pretendere che una persona in prova faccia scelte che richiedono una chiara comprensione del menù e del locale, occorre che ciascuno si sforzi per offrire a sé stesso -e quindi a chiunque si affacci sul nostro mondo- la versione migliore di sé .
Che è esattamente il prodotto che in fondo ciascuno desidera acquistare.