Lo scorso fine settimana abbiamo partecipato ad un intenso stage condotto da Miles Kessler Sensei. Perfettamente organizzato da Aiki no Kokoro di Boves (CN), è uno degli eventi che aspettiamo di più, ogni anno, per quanto riguarda la nostra formazione personale e tecnica.
Miles Kessler non ha bisogno di molte presentazioni. E’ una persona che pensa ciò che dice, insegna ciò che conosce e vive ciò in cui crede. Questa normalità, così rara nei tempi in cui viviamo, rende la didattica di Miles Kessler chiara e solida. L’integrazione dei valori nel vissuto rende la persona credibile.
Pur potendoselo permettere, non si pone su un piedistallo, anzi, tanto sul tatami quanto fuori, riduce le distanze. Un atteggiamento che è già in se stesso un grossissimo esempio per chi non solo pratica ma insegna questa disciplina.
Nelle ore di allenamento, intense, abbiamo fatto un percorso basato sui quattro stati principali in cui si può dividere lo spettro della coscienza: grezzo, sottile, senza forma e non duale.
Ci siamo concentrati sui primi due, perché sono quelli di cui si ha una diretta esperienza, non solo nella pratica personale, ma anche quando si ha l’opportunità di visitare altre realtà, diverse dalla nostra.
E’ un’esperienza piuttosto comune vivere o vedere dimensioni di pratica che sono totalmente o nel dominio fisico o in quello emotivo e mentale. L’impostazione classica di un corso di Arti Marziali, nel passato perlomeno, era improntata a “tecnica e sudore”. Altre istanze semplicemente non erano contemplate. Questa dimensione è definita grezza non in un’accezione negativa, come non è dispregiativo definire grezzo un diamante non ancora lavorato.
Un certo cambiamento sociale, dovuto anche alla globalizzazione, ha portato sul tatami altre esigenze e prospettive. Non è raro trovare gruppi di pratica che hanno ridotto fortemente l’aspetto fisico e che si dedicano a quello speculativo, più sottile.
Il problema inizia a sorgere quando -diceva Miles Kessler- non si riesce a disporre di un accesso per spostarsi da uno stato all’altro. Rimanere nella sola tecnica porta a problemi, così come rimanere esclusivamente nella dimensione sottile.
Queste riflessioni, supportate dalla pratica, ci hanno fatto cogliere nuove dimensioni di quanto viene chiamato “tradizione”.
Certamente Miles Kessler, più di tanti insegnanti in circolazione, è una persona cresciuta nella tradizione marziale e in quella spirituale orientale nel senso più originale. Studiare per anni con Morihiro Saito Sensei la cui unica missione era tramandare a sua volta ciò che aveva visto e vissuto con Morihei Ueshiba; essere il suo interprete per tre anni nei vari allenamenti; essere formato ed educato alla meditazione in Birmania… Non sono esperienze che molti possono dire di aver vissuto in modo così totale e immersivo.
Quindi, nella dimensione grezza, fisica, c’è un modo di far risplendere la tradizione: l’impostazione della tecnica si fonda su principi, linee e movimenti che la tradizione tramanda in un modo molto chiaro. Ma perché?
Non è solo una questione di efficacia. Rettamente intendere e cocreare col compagno le tecniche è il requisito essenziale per sviluppare la grammatica con cui poter esprimersi ad un livello più sottile.
Il confronto con la tradizione non svela di per sé quante tecniche conosciamo e quante dobbiamo ancora studiare rispetto ad un ipotetico elenco. Mette in luce quanto abbiamo interiorizzato dei movimenti e dei principi che le compongono.
Avere la fortuna di poter imparare con persone che a loro volta hanno ricevuto questa conoscenza direttamente alla fonte, ci fa sentire che spesso da un lato i nostri movimenti sono parziali. Dall’altro sono eccessivi. Che in qualcosa ormai siamo fluidi e in qualcos’altro ci perdiamo.
La dimensione grezza quindi è un prerequisito importante su cui invece -per limiti nostri, degli insegnanti, per l’ansia di voler andare oltre- operiamo tagli, scegliendo spesso le scorciatoie di mentalismi più rassicuranti, autoconfinandoci nella dimensione sottile con sterili elucubrazioni.
Ma è evidente -e Miles Kessler lo ha sottolineato bene- che la dimensione grezza svanisce col calo di energie e di condizione fisica che il progredire degli anni porta con sé.
Se dunque una disciplina è qualcosa che ha un riflesso fisico significativo al pari dello sport ma va a stimolare una dimensione interiore, spirituale, che lo sport non necessariamente coltiva, allora occorre trovare il modo di poter osmoticamente lavorare sul grezzo e sul sottile, contemporaneamente.
Un movimento pendolare che permette di far fiorire e sviluppare sempre più la persona, perché il corpo declina ma lo spirito non è chiamato alla medesima sorte, anzi.
Anche in questo caso, la coltivazione della dimensione sottile è un processo in cui abbiamo potuto notare come alla base di un chiaro insegnamento ci sia un grosso lavoro svolto sui solchi della tradizione.
Che cosa pratichi, che cosa segui? Da chi hai imparato? E questi a sua volta da chi ha imparato ciò che ti dice -rispetto alla tecnica o rispetto a dimensioni più sottili, come la meditazione?
Riflettere su questo aiuta a demistificare molto la dimensione in cui, come praticanti di discipline che nascono in oriente, ci si rischia di perdere. Affascinati da pratiche evocative, attratti dalla prospettiva di sviluppare chissà quale potere, spesso corriamo il rischio di dimenticare il lavoro concreto quotidiano e di progressivamente renderci ciechi e sordi. Dimentichiamo la parte grezza nel suo valore e pensiamo di nutrire il nostro spirito con speculazioni senza fondamento, quando all’opposto abbiamo semplicemente trovato un nuovo alimento per il nostro ego. Pensiamo di apparire interessanti a noi stessi e agli altri e siamo invece spesso confusamente incomprensibili.
Queste ed altre riflessioni sorgono mentre siamo lì, a sentire e vedere Miles Kessler Durante la pratica con lui e i partecipanti al seminar la mente e il corpo sentono che questa impostazione di pratica fa bene perché è vera, semplice, universale.
Una chiarezza tecnica totale ma nessuna rigidità. Una profondità spirituale pulita, senza bisogno di “gurismi” indotti o imposti. Chissà, per apprezzare tutto ciò forse bisogna passare per le centinaia di tatami calpestati in cui al nostro corpo è stato comunicato -oltre che detto alle nostre orecchie- che le tecniche dovevano essere esclusivamente precise e quindi brutalmente insensibili. In cui talvolta al nostro spirito è stato detto che se non avessimo fatto questa o quella pratica aggiuntiva non avremmo mai capito la tecnica. Che per poter andare d’accordo con questo o quell’insegnante bisognava in qualche modo metterlo su un piedistallo.
Se l’Aikido, come è, è una scuola di libertà, certamente Miles Kessler ne è Maestro, nel senso più alto. A noi spetta un paziente lavoro quotidiano per lentamente seguirne l’esempio.