Ognuno ha i suoi gusti, per quanto a volte incomprensibili.
C’è chi mette l’ananas sulla pizza, chi trova bella la musica trap, chi va al mare col calzino e i sandali…
Ciononostante, fin qui, non abbiamo ancora trovato sul nostro percorso praticanti di AIkido follemente innamorati di koshinage. Perché? Sarà perché è una tecnica che fa un po’ schifo a tutti? O perché a quasi tutti viene da schifo?
Nell’Aikido possiamo raggruppare il programma tecnico in grandi famiglie:
- le tecniche di immobilizzazione (katame waza 固技)
- le tecniche eseguite con le armi (buki waza 武器技)
- le tecniche di proiezione (nage waza 投げ技)
Esistono, soprattutto in ambito applicativo, molte ulteriori ramificazioni, molte delle quali per evidenti motivi non fanno parte del programma tecnico richiesto agli esami. Tra queste vale la pena di ricordare le tecniche di rottura (kansetsu 関節 waza), le tecniche di strangolamento (shime 絞め waza), le tecniche di “sacrificio” (sutemi 捨て身 waza), e la miriade di applicativi (oyo 応用 waza). Tutte specialità che affondano le radici nel jujutsu antico.
Se guardiamo la didattica del Judo, vediamo che esiste un nutrito gruppo di tecniche raggruppato sotto la dicitura “koshi waza”.
In effetti, l’utilizzo del bacino e delle anche (koshi 腰), è il cuore di ogni movimento ed è naturale che sia ampiamente allenato in tutte le discipline marziali.
Tuttavia, nell’Aikido, che del Judo è contemporaneo, abbiamo soltanto una voce: koshinage.
Condito in almeno una trentina di salse a seconda dell’attacco iniziale ma sempre di un unico piatto si tratta.
Sorgono quindi tre domande:
Perché nell’Aikido c’è ancora traccia di un koshi waza?
Siccome i diretti interessanti non possono più rispondere, possiamo azzardare qualche ipotesi. Scartiamo da subito un’ipotesi di completezza tecnica rispetto ai potenziali attacchi, perché, per la medesima completezza, dovremmo studiare per esempio tutta la didattica di calci che in altre discipline esiste e nell’Aikido non c’è.
Se prendiamo come riferimento l’affermazione che sostiene la coincidenza tra le tecniche a mani nude e quelle con le armi, possiamo vedere che alcuni caricamenti di uke sui fianchi di tori seguono geometrie riconducibili di fatto a shihonage e kaitennage soto mawari, che in fin dei conti derivano da tecniche di spada. In altre forme le mani che afferrano uke per issarlo prendono la stessa inclinazione di quando il jo va in posizione hasso 八相 e/o effettua un gyaku te uchi 逆半手打ち. E’ un’analisi un po’ tirata, perché in alcuni casi la similitudine si vede bene, in altri bisogna lavorare di fantasia. In questa prospettiva koshinage sarebbe, tra i koshi waza, l’unico a garantire una minima coerenza con l’impianto didattico delle restanti tecniche.
Tutte le altre affermazioni, pur essendo in sé con un fondo di ragione, non giustificano a fondo l’esistenza e la sopravvivenza di koshinage nel programma tecnico. Per esempio: se l’obiettivo è sviluppare una sensibilità propriocettiva e cinestesica nella schiena, non è detto che per farlo si debba per forza caricare una persona come un sacco di patate, perché ci sono altri metodi, molto meno onerosi per la colonna vertebrale e le articolazioni.
Koshinage è una tecnica di Aikido?
Sembra una domanda idiota, però… A un principiante viene insegnato di non tirare a sé il proprio compagno. In koshinage, per quanto si estenda (solitamente il braccio di) uke e per quanto questo, perdendo l’equilibrio diventi più “leggero”, esiste sempre un momento della tecnica in cui tori issa la massa di uke, in qualche modo tirandolo a sé. Questo si vede bene quando la tecnica viene svolta partendo da prese statiche o da una lenta condizione dinamica. Talvolta, ma avviene raramente, quando l’azione dinamica è veloce e il partner è bravo/fortunato nell’entrare nell’angolo e nel momento giusto, koshinage torna ad essere una tecnica di Aikido. L’anca torna ad essere un fulcro messo nel movimento di un corpo, un cuneo che sbilancia in una frazione di secondo un corpo, modificandone la traiettoria.
Quale didattica?
Koshinage è una sfida anche per gli insegnanti. Nello studio di base generalmente viene proposta fin da subito in coppia. Chiunque ci sia passato ricorda caricamenti fatti sul dorso (e non sui fianchi), gambe tese, ginocchia traballanti e conseguente spiaccicamento della coppia sul tatami. Sembrerebbe che non si possa fare a meno di fare questa esperienza. Recentemente però al Dojo abbiamo iniziato esercizi propedeutici utilizzando il jo come supporto per estendere il braccio e mantenere l’angolo di ingresso. Potrebbe essere questa una metodologia che risparmierebbe diversi fastidi muscolari e tendinei, velocizzando al contempo l’apprendimento della forma con una geometria non sporcata dalla somma di insicurezze che si attiva ad ogni scambio.
Concludendo…
Koshinage non si insegna e non si pratica perché è nel programma tecnico. Se fosse solo questa la motivazione, sarebbe inaccettabile.
Certamente koshinage è un bell’esempio dello stile didattico giapponese. Una parete verticale piazzata lì, nel percorso di crescita, senza un apparente perché.
Un setaccio che filtra molto bene e separa ciò che è volontà di proseguire dalla velleità di pensare che sia tutto e sempre gratis. Uno strumento, in mano a insegnante e praticante, per identificare e mettere in circolo quelle risorse che pensiamo di non avere e che in realtà abbiamo. Ogni maledetto koshinage ci insegna che possiamo ancora farcela e scusate se vi sembra poco.