L’Aikido di Prospero Mondino

“E chi è Prospero Mondino? Sarà per caso l’ennesimo italiano che non conosce nessuno, che al Kagami Biraki viene nominato settordicesimo dan e shihan?”

Niente di tutto questo.

Se guardiamo i kanji di cui è composto il nome Morihei Ueshiba, 盛平植芝 e li traduciamo ad uno ad uno letteralmente, il risultato è, nell’ordine: prospero, pieno, pianta, erba.

Con un po’ di fantasia, potremmo quindi tradurre Morihei come “Prospero”. Pensando poi a un giapponese che pianta dell’erba, non vengono altre immagini in mente se non alla paziente opera dei coltivatori di riso che trapiantano le piccole piantine nelle risaie. Per cui Ueshiba risulterebbe…Mondino.

Chi ha studiato su libri un po’ d’ altri tempi si ricorderà che i filosofi Francis Bacon e René Descartes erano rinominati in Francesco Bacone e Cartesio, rispettivamente. Johann Sebastian Bach diventava Giovanni Sebastiano Bach…

Non è qualcosa dal solo sapore antico. Anche oggi chiamiamo Carlo il re d’Inghilterra e sua madre era la regina Elisabetta, che ovviamente non hanno nomi italiani. E i cugini francesi hanno in Santa Giovanna d’Arco la loro patrona.

E’ qualcosa di molto umano: “fare nostro” qualcosa che non ci appartiene. Guardarlo attraverso le nostre lenti e rivestirlo in qualche modo dell’esperienza quotidiana. Inglobarlo nella cultura a cui apparteniamo.

Del resto si ha una tendenza, anch’essa comprensibile e umana, a mitizzare ciò che non si comprende. Nel caso delle discipline marziali, i nomi e i suoni orientali, esotici, sembrano contenere chissà quali arcani segreti che noi, poveri ignoranti, non riusciamo a comprendere e per questo siamo così imbranati.

Pensare a Morihei Ueshiba come a un ipotetico Prospero Mondino aiuta a vederlo un po’ più per come era: un uomo. Talentuoso e visionario ma pur sempre un uomo.

Quindi esattamente come la nostra, l’esperienza umana di Morihei Ueshiba è unica e irripetibile. Stando alle sue stesse parole:
Il budo si è evoluto allo stesso modo dell’universo e dei suoi corpi celesti, ed è per questo che non dovrebbe restare fermo. Il budo di Ueshiba è praticato dalla prima generazione di Ueshiba, e la seconda generazione di Ueshiba dovrebbe sopravanzarlo e reinventarlo come se fosse nuovo.

Se non ci fosse stata l’opera di catalogazione delle tecniche da parte di allievi come Morihiro Saito e la diffusione sistematica ad opera del figlio e del nipote di O Sensei, nessuno di noi avrebbe mai praticato Aikido.

O meglio, “quell’insieme di tecniche e abitudini che chiamiamo Aikido” e che probabilmente assomiglia all’Aikido del fondatore più o meno come Prospero Mondino assomiglia a Morihei Ueshiba.

Siamo convinti della necessità di praticare secondo le prospettive di entrambi. Se pratichiamo l’Aikido di Morihei Ueshiba, abbiamo l’onere di focalizzarci, ogni tanto, su una ricerca del senso “filologico” del bagaglio tecnico e culturale da cui è originata la disciplina. Questo non per stabilire la supremazia di uno stile su un altro ma per riempire di senso le forme che pratichiamo. Non a caso O Sensei era decisamente contrario a confinare l’esperienza marziale nella sola sterile ripetizione di forme.

Inglobare l’Aikido nella nostra prospettiva di occidentali del ventunesimo secolo, renderlo uno strumento che parli alle esigenze delle donne e degli uomini di oggi. Questo è forse il senso della frase “reinventare come se fosse nuovo” l’Aikido. Generazione dopo generazione, lasciando spazio anche a Prospero Mondino Sensei.

Quindi, al di là di “italianizzare” il nome di Morihei Ueshiba, si tratta davvero di far parlare presente e tradizione. Due realtà “locali”, separate nel tempo e nello spazio e unite dalla ricerca del senso.

Per un insegnante è una sfida, perché occorre conoscere -davvero!- entrambi. Per chiunque salga sul tatami è -o dovrebbe essere- un imperativo morale.

Ed è esattamente quello che keiko dopo keiko si prefigge la pratica dell’Aikido.

Disclaimer: Foto di Quang Nguyen Vinh da Pexels

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