Perché la geometria è spesso descritta come fredda e asciutta? Una ragione sta nell’incapacità di descrivere la forma di una nuvola, di una montagna, del profilo di una costa o di un albero. Le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le coste non sono cerchi e la corteccia non è piana, né un fulmine viaggia su una linea retta. Benoît Mandelbrot, La geometria della natura, Theoria Ed., 1990
Le discipline marziali, insieme a tante altre attività, si propongono di offrire un percorso esperienziale di miglioramento personale, di relazione, di rigore. Di armonia.
Armonia: questa sirena dal nome greco e dal richiamo orientale. Il suo nome evoca arte, ciliegi in fiore, la composta educazione e la meccanica precisione che scandisce il vivere sociale orientale.
Per chi vive nel caos fatto di società disordinate, di disservizi, relazioni…complicate e periodi storici non proprio idilliaci, il richiamo verso l’armonia è forte.
Facciamoci tre domande.
E’ possibile parlare di armonia a chi vive nel caos?
Che esperienza di radicamento e stabilità, tutti concetti molto comuni e trasversali alle discipline, ha per esempio un bambino, un adolescente che viene trasportato come un pacchetto tra casa della mamma e casa del papà, che viene accompagnato a scuola da un nonno e ritirato da un “nuovo” nonno?
Che esperienza di intenzione e connessione ha un adulto che vive nella piena precarietà, legato alla volubilità del suo impiego, fatto di trasferimenti, riposizionamenti e, spesso, di demansionamenti?
Che idea di comunità può avere un giovane che progressivamente si isola, una persona che viene pian piano messa ai margini?
Sono alcuni esempi, alcune domande, tra tante. Domande aperte che fanno capire come certamente ci sia fame di serenità e di armonia e come, contemporaneamente, parlarne sia complesso perché manca un terreno comune di confronto.
Allo stesso tempo, l’esperienza di un Dojo e, in generale, di un luogo e di un tempo totalmente diversi in cui fare esperienza fisica e relazionale di dedizione a se stessi, di ascolto, di serenità, può comunicare molto più di mille parole.
Il caos si combatte con la geometria?
Immaginiamo che uno scarabocchio immerso in linee aggrovigliate fin dalla sua nascita si trovi all’improvviso a contatto con linee chiare e forme geometriche definite. Ne sarà conquistato oppure chiamerà “caos” queste nuove geometrie?
Siamo così sicuri che un approccio didattico geometrico, che conduce inevitabilmente ad un’espressione squisitamente fisica della disciplina sia compreso? Sia funzionale? O in realtà non vada piuttosto semplicemente ad affiancarsi al caos, creandone di fatto un ennesimo strato della complessità dell’individuo?
Si parla tanto di perdita di attrattiva di determinate discipline…Ma se la citazione di Mandelbrot con cui abbiamo esordito è corretta, allora dobbiamo anche ammettere che proprio come una nuvola non è una sfera, una persona e una relazione non sono un kata né l’esecuzione a sé stante di un tecnica. Una disciplina “fredda e asciutta”, sempre prendendo a prestito parole di Mandelbrot, concorrerà a creare persone fredde e asciutte, per bene che vada. Certamente non a diluire il caos.
Probabilmente saranno persone capaci di dire, con le parole e con la tecnica: “Laciami in pace”. Che è un po’ diverso da persone capaci di essere in pace.
E’ possibile usare il caos come alleato?
Nelle discipline marziali è comune il concetto di randori (乱取り). E’ significativo che il primo kanji, 乱, significhi letteralmente ribellione. Il caos, nella prospettiva orientale, è il risultato della ribellione ad un ordine precostituito. Randori è la capacità di fluire all’interno di attacchi non preordinati (ed è un peccato vedere molto spesso randori che non sono altro kata complessi imparati a memoria).
Saper “afferrare il caos” significa vederlo per quello che è. Per Mandelbrot la caoticità degli eventi è un fenomeno complesso ma non casuale e quindi l’apparente imprevedibilità è la somma di variabili che dal passato influiscono l’andamento di eventi futuri.
La disciplina marziale, nel nostro caso l’Aikido, è uno strumento per osservare il presente. L’allenamento è un tasto “pausa” rispetto al fluire degli eventi e consente di comprendere quali spazi di libertà esistano nel caos. Quali reali possibilità di azione e quali ambiti di miglioramento personale siano alla portata di mano.
Comprendere che il kaizen, il miglioramento personale agito come abitudine continuativa è la lima che smussa gli angoli difettosi che ci trasciniamo dal passato dà alla pratica marziale una prospettiva molto più ampia di qualsiasi cornice tecnica possa avere.
Restituisce al rigore e all’autorevolezza esercitata dall’insegnante la giusta dimensione di bussola che orienta un lavoro costante.
Un lavoro che non dirada il caos perché va a installare nelle nostre vite un improbabile bushido 4.0 di borgata, rendendoci ancora più dissociati dalla realtà di quanto non lo siamo già. Ma un’attitudine che ci obbliga a guardare in faccia la nostra realtà, a sfrondare ciò che oggettivamente non è funzionale alla nostra esistenza e che ci consente di fare esperienza dell’unico ingrediente necessario per fare surf sul caos: la libertà.
Per chi volesse approfondire la relazione tra Aikido e caos, rimandiamo a un articolo che avevamo scritto qualche anno fa per Aikime.
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