Ogni anno, più o meno in questo periodo, la nostra comunità di pratica vive uno dei suoi momenti più importanti, l’Evolutionary Seminar.
Il nostro Dojo è infatti parte di una comunità internazionale, la cui didattica è guidata da un Sensei, Patrick Cassidy, che attraverso gli stage da lui diretti offre ricchi spunti e traiettorie di lavoro molto dense da sviluppare anno dopo anno.
Sono momenti molto belli, molto intensi, in cui si respira non solo una dimensione internazionale grazie agli ospiti stranieri ma una dimensione “alta” della pratica. Sia a livello fisico, sia a livello tecnico marziale, sia a livello di integrazione e unificazione delle dimensioni psicofisiche individuali e relazionali.
In queste occasioni, come è corretto che sia, la guida tecnica sovrintende le sessioni di esami di grado dan, secondo le direttive dell’Aikikai.
E’ vero che l’esame di cintura è qualcosa che matura nel percorso quotidiano che si compie nel Dojo di appartenenza. E’ altrettanto vero però che, man mano che si sale di livello, si “appartiene” ad una comunità sempre più vasta, a cui si deve restituire il tanto che da essa si riceve. E’ corretto quindi che la commissione che certifica il passaggio di grado sia ampia e di ampio respiro (internazionale, nel nostro caso).
Più o meno in questi giorni, in condizioni normali, tutti noi avremmo dovuto organizzare lo stage, fare tutto il lavoro di preparazione dietro le quinte perché ognuno si sentisse accolto e potesse vivere l’esperienza al meglio e…Per quanto riguarda noi due, con ogni probabilità, sostenere l’esame di II dan.
Ma le condizioni di questo “new normal” che lentamente prende forma non consentono nel breve di vivere ciò.
Quello che è concesso è piuttosto fare una riflessione su questo esame, sul sostenere un esame in sé, su quali prospettive si potrebbero coltivare nel mentre. A cuore libero e aperto.
L’organizzazione della vita associativa e di un movimento che ruota intorno alla pratica di una disciplina, stabilisce una sorta di abitudinarietà necessaria. Ordinariamente si sa che nell’anno ci sono sessioni in cui si può sostenere un passaggio di grado. Esistono regole, requisiti, programmi tecnici. Essendo parte di una natura che si basa su cicli e stagioni, anche nella pratica marziale la nostra crescita si radica sulla consapevolezza che esistono delle pietre miliari del nostro cammino con cui confrontarci.
Questa abitudine ora è interrotta, perlomeno nella forma in cui siamo stati immersi fin qui. E, come tutte le abitudini che si interrompono, si può reagire indispettiti come un bambino a cui è negato il gelato e il giro sulle giostre o si può provare a cogliere una dimensione un po’ più ampia.
In tutta sincerità posso serenamente dire che non ci siamo mai fermati. Né io, né i miei compagni. Nemmeno nelle fasi di lockdown più severe non è passato giorno senza attività fisica, senza una dedizione costante a mantenere accesa e viva la fiamma ricevuta.
A questo si è aggiunta la fortuna di essere parte di un Dojo, di una comunità in cui il maestro non si risparmia per garantire a tutti continuità. Quindi: allenamento online al lunedì e al venerdì mattina e al giovedì sera. Quando la legge lo consente, ci si ritrova al parco a debita distanza per consolidare il programma di armi. Certamente la nostra comunità non ha subito passivamente gli eventi e fin da subito, pionieristicamente, si è attivata per garantire vicinanza, presenza formazione. E’ successo qui, ed è successo a livello internazionale. Durante il primo lockdown non passava giorno senza poter scegliere una pluralità di offerte dai vari Dojo della nostra comunità. Questo è stato un dono enorme di cui siamo grati ed un esempio per altri gruppi che, ora, si stanno attrezzando per offrire formazione online.
Con Sara e i ragazzi con cui ci alleniamo, per ulteriori due giorni a settimana ci troviamo nei parchi della città per una pratica “a distanza di sicurezza” e a norma di legge. Quindi da una parte il Dojo, con ulteriori sessioni di confronto online e di meditazione, offre almeno cinque momenti la settimana, dall’altra i due appuntamenti con il nostro gruppo. A tutto ciò si aggiunge la pratica fisica quotidiana.
E’ la stessa cosa di prima? Certamente no. Ma è addirittura più totale, perché “prima” la pratica ordinaria occupava mediamente dieci/dodici ore a settimana. Adesso certamente molte di più.
Certo che la forma è diversa. Manca, tanto, la fruibilità di un tatami per dare libero sfogo al corpo in movimento.
Praticare le cadute sul letto, nel corridoio di casa con o senza un tatami (tanto è lo stesso, talmente è sottile) non è ovviamente lo stesso.
Ho l’enorme fortuna di praticare con Sara, con la sola limitazione degli spazi; tuttavia la pratica è tanto più efficace quanto più si ha la fortuna di condividerla con tante persone. Corpi, emozioni, livelli diversi che fanno crescere ad ogni incontro.
E allora?
Non sostenere un esame non priva il praticante dello scopo ultimo di camminare dentro una disciplina, che poi è usarla per migliorarsi. Non siamo stati impediti di praticare: semplicemente sono mutate temporaneamente le forme.
Evidentemente si doveva e si deve lavorare anche (ancora) sulla pazienza e quindi la vita porta delle fermate che servono a testare quanto le cose che facciamo siano solo abitudini in funzione di una mostrina in più o strumenti profondi per la vita.
Qui occorre uno slancio di sincerità: credo si debba fare attenzione anche a non cadere nell’eccesso opposto.
In ogni esame, in ogni qualifica della mia esistenza (come studente, come professionista, come praticante di arti marziali) ho sempre avvertito lo stesso gusto. L’esame è un “passaggio di stato” che ti permette di vivere le medesime cose di sempre ma con un livello di comprensione diversa. Quello che non capivi prima, ti appare improvvisamente diverso, più intellegibile. Ti muovi diversamente, pensi diversamente, agisci diversamente. Sei letteralmente un’atra persona.
E’ un dato di fatto: la cintura nera è davvero una nuova tonalità di bianco. Un nuovo punto di osservazione sulle cose.
Privarsi volontariamente della possibilità di comprendere le cose sotto una nuova prospettiva, ritardando o non volendo sostenere gli esami è una scelta che è fondamentalmente autolesionista.
Essere privati, seppur temporaneamente, di tale possibilità di crescita è oggettivamente un peso.
Del resto, concedere -o mendicare- un grado via via sempre più elevato per soli meriti di “resistenza”, “fedeltà” o per raggiunte soglie di permanenza nel grado precedente è un automatismo miope, che svilisce il senso di un percorso assimilandolo ad un cronoprogramma industriale e lo abbassa a livello di puro mercato.
Nel moltiplicare gli strumenti online, la pandemia ha offerto un robusto appoggio per una rivoluzione nei percorsi di formazione. C’è una formazione che non potrà mai essere erogata a distanza ma c’è parecchia didattica che può essere offerta (e verificata) a distanza. Abbattendo costi, difficoltà logistiche per chi doveva recarsi da tutta Italia in un centro, vincoli di calendario.
Lentamente e costantemente, anche il movimento marziale si sta muovendo in questa direzione per la formazione dei tecnici.
Sotto il profilo burocratico, per come è gestito il meccanismo delle qualifiche per i tecnici, il passaggio di grado è una condizione essenziale per l’ammissione ai corsi per l’ottenimento delle qualifiche stesse.
Probabilmente è anche per questo motivo che recentemente il movimento federale del Judo e del Karate si è organizzato al meglio delle proprie possibilità per organizzare corsi teorici online al termine del quale i partecipanti hanno potuto sostenere esami di II e III dan da remoto, puramente teorici. Negli ultimi mesi diversi enti si sono mossi più o meno nello stesso modo.
Che dire? Dal punto di vista tecnico e di pratica marziale, le decisioni spettano ai referenti tecnici, che conoscono gli atleti e che avranno le loro ragioni ponderate per scelte di questo tipo.
Se guardiamo alla cosa nella prospettiva di non permettere che il blocco dovuto alla pandemia di questo ultimo anno generi ulteriori ritardi nel futuro per l’accesso a corsi di formazione per tecnici…Beh, la cosa può avere il suo senso. Il binario su cui si muove il percorso di formazione di un tecnico è altro da quello su cui procede il percorso di pratica. L’unico anello che congiunge i due mondi sono, appunto, i gradi che costituiscono prerequisito per il cursus tecnico.
Cosa stia succedendo o cosa succederà per l’Aikido non lo so.
Accetterei un esame dan online? In tempi ordinari, no. In tempi straordinari, bisognerebbe capirne la finalità.Allora la domanda, perlomeno per me, sarebbe la seguente.
Mi piacerebbe “saltare il turno” delle prossime convocazioni per i corsi tecnici perché non ho sostenuto un esame? Mi piacerebbe guardare gli amici delle altre discipline accedere là dove io non posso perché loro l’esame lo hanno dato e io no? No. Anzi, mi sentirei piuttosto discriminato. Difficilmente troverei dei motivi per cui sentirmi oggettivamente non all’altezza di apprendere nozioni in un corso teorico per tecnici solo perché la pandemia ha privilegiato alcuni e non altri. Pur sapendo che, in uno scenario estremo, uno può diventare millesimo dan e ipertecnico illuminato col bollino Chiquita e non avere né un dojo né un gruppo che possa seguirlo date le mutate condizioni sociali. I gradi e le qualifiche sono uno strumento di servizio, mai un atto dovuto.
Sono convinto che occorra preservare la qualità di una tappa importante sostenuta con la preparazione e la dignità che merita (tanto l’esame quanto il candidato). Sono altrettanto convinto che investire sulla pazienza sia un lavoro di mortificazione dell’ego.
Attendere che ci siano tutte le condizioni perché tutto sia perfetto…Beh, forse non è quello che si impara su un tatami e non è quello che ci sta insegnando la vita in quest’ultimo anno. Soprattutto di fronte al doppio binario: quello del “do”, che va avanti a prescindere da un grado e quello della società, che nella sua liturgia burocratica, tutto arena senza quel grado.
Quello che sta succedendo è che la società sta facendo i conti con una realtà di difficile gestione, cercando di interpretarla per scenari. Probabilmente, dato che gli scenari prospettano un ipotetico ritorno a condizioni pre-Covid19 con orizzonte fine 2022, in alcuni ambiti si “reagisce” a questa bolla di sospensione della vita cercando di mandare avanti sistemi vecchi in un mondo nuovo. Sarà il tempo a valutare l’efficacia di una scelta o di un’altra.
Concludendo, la disciplina che pratichiamo insegna a concentrarsi sul tempo presente. Questo significa vivere senza ignorare dove portano le traiettorie su cui viaggia la nostra esistenza. Ma soprattutto significa contemplare il nostro cammino. La strada è lì. Ci si può fermare, tornare indietro, rinnegarla. Ognuno può impegnarsi solo per sé continuando a fare la propria parte, nell’attesa di tornare ad una pratica ordinaria di presenza sul tatami. Il resto…verrà, come sempre nella vita, tutto è arrivato nel momento opportuno.
Sovrabbondante. Vero. Spontaneo.