Durante gli interminabili rientri sui mezzi pubblici ai tempi delle scuole medie, incrociare una 500 dalla carrozzeria gialla scatenava una litania di urla adolescenziali. “Sfiga della 500 gialla!” “Sfiga della 500 gialla”…
Perché la vista di una 500 gialla dovesse essere di cattivo augurio, è sempre stato un mistero. Dove fosse divertente come gioco, anche. Del resto la prima volta che ho giocato a “Ce l’hai”, sono rimasto fermo e ho chiesto: “Cosa ?”.
E’ pur vero che giocare alla “sfiga della 500 gialla” sui mezzi significava per noi ragazzini impratichirsi nel tafferuglio e in quelle tecniche che solo recentemente vengono definite come “close combat”. Ne apprezzavamo il sadico piacere ma eravamo troppo immaturi per coglierne la valenza tecnica e marziale.
Da ragazzini è facile cedere e seguire il branco. Ed è ancora più facile rivendicare la propria identità ed originalità a volte con sceneggiate da soap opera. Poi li si vede lì, generazione dopo generazione, tutti più o meno vestiti uguali, tutti più o meno con lo stesso linguaggio. Siamo gregari per natura.
E’ capitato diverse volte, in coda a stage e seminar di raccogliere rimandi che, nel tempo, si ripetevano. Dal “Non ci ho capito nulla” al “Questo sensei spiega sempre le stesse cose, è anni che fa così” al “Il mio maestro mi/ci ha mandato qua ma a me questo tizio non convince” passando talvolta per le adorazioni masochiste “Hai visto??? Mi ha piegato il polso!” e quelle comparative: “Sì, bravo, ma vuoi mettere il maestro XYZ della nostra scuola?”
E in tutto questo gran daffare che dura ore, per il quale si paga e si sceglie di investire tempo e risorse a discapito di altro, va spesso in scena una colossale versione della “sfiga della 500 gialla – portare jo, bokken e tanto – purché in regola con l’assicurazione”.
Il che porta a qualche riflessione, necessariamente parziale:
1) A volte ben vengano le pause, anche se forzate, per chiederci a che gioco giochiamo. E magari perché.
2) Una certa propensione ad adagiarsi su quanto ci viene proposto, in modo acritico, è cerebralmente (e anche fisicamente) letale esattamente come il suo opposto. Essere “per forza” gli unici illuminati in un mondo di ciechi, o meglio, definirsi per opposti come dei bastian contrari, è semplicemente il duale adolescenziale del primo amichetto che ti ha trasmesso la “sfiga della 500 gialla” tanti tanti anni fa.
3) Ci sarebbe da pensare che se, mediamente, continuiamo la menata della “500 gialla” solo con altre forme e in età adulta, allora la società, mediamente, persegue i suoi obiettivi con la stessa maturità di un adolescente urlante su un bus. Questa sarebbe una riflessione troppo lunga ma è bene tenerla in mente. Arriva un problema su scala mondiale e subito si scatena, globalmente, un “ce l’hai” che non ha come obiettivo la soluzione del problema, quanto piuttosto l’impossibile gestione della complessità attraverso l’immatura riduzione della ragione e l’autoritaria limitazione della libertà. Ieri, per la penuria di petrolio, il blocco dei mezzi al fine settimana, lo spegnimento di un lampione ogni due, l’interruzione delle trasmissioni con un coprifuoco radiotelevisivo, le targhe alterne e via discorrendo. Oggi con misure che, private di una cornice di emergenza, segnano un solco tra chi può muoversi e chi no, tra chi può accedere in un luogo e chi no. Su altri piani, una comodissima dissimulazione di diritti fondamentali per la dignità di tutti dietro la mutevole cortina di diritti civili usati in modo squallido come propaganda politica in un gioco tra fazioni che tutto ha meno che l’interesse del debole come finalità. Nel mentre, sanità allo sbando, scuola ridotta a un frullatore ideologico, sicurezza e trasporti in ginocchio, lavoro al lumicino, tutela ambientale inesistente, giustizia a singhiozzo, informazione parziale. Però, vuoi mettere? Tutti in prima linea su ciò che è mainstream, pazienza se su opposte trincee.
Anche al Dojo ci sono gli stessi rischi. Non più tardi di ieri un jiyu waza mi ha ricordato la sensazione fisica di “ce l’hai” ma mi ha fatto contemporaneamente capire che la nostra fortuna -il nostro antidoto- risiede nella possibilità di essere colpiti da un fendente o di non poterci liberare da una presa.
La realtà, se preferiamo, la verità, non scendono a compromessi, a interpretazioni. Se ne infischia del branco, la verità. Se vieni colpito, non c’è nessun tasto reset che possa farti tornare indietro nel tempo.
Se sei vincolato da un’immobilizzazione, non c’è nessuna possibilità assertiva di voler raccontare un’altra realtà, a meno di lussarsi un’articolazione per voler dimostrare il contrario. O che la 500 gialla porti davvero sfiga.
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