Per chi pratica Arti Marziali, il concetto di dō, 道, è familiare. Si pratica Judo, Aikido, Karatedo, Kendo; in generale ci si riferisce al Budo, al codice etico del Bushido; ci si ritrova insieme nel Dojo.
C’è una strada, insomma. Un percorso che ha delle caratteristiche formali, relazionali, culturali, ambientali.
E, come tutte le strade, non siamo noi a realizzarle ma sono esse che ci vengono incontro. Semmai noi decidiamo di percorrerle.
Si dirà che la metafora della strada ha dei limiti. Un’obiezione legittima per esempio potrebbe essere legata al fatto che nuove strade si costruiscono. La crescita delle città e delle infrastrutture ne sono un esempio.
E’ vero. Funziona così, anche su un piano meno urbanistico. Un giorno una persona individua una nuova direzione o un nuovo stile di percorrere direzioni antiche e si creano nuovi sentieri.
Di certo c’è che non viviamo in quella realtà selvaggia che ha generato il kanji 道, in cui gli esperti ravvisano la figura di una persona che, con fatica, si fa strada nella boscaglia (verosimilmente a fendenti di lama).
Dal punto di vista materiale, per quanto siano dissestate e magari prive di passaggi di mezzi pubblici, le nostre strade sono sgombre e non ci serve la katana per camminarci sopra.
Dal punto di vista immateriale, la riflessione si fa interessante.
Molte strade sono offerte alla nostra scelta.
Molte di esse hanno una struttura formale sufficientemente sviluppata per condurre da A a B, non senza fatica, chi le percorre. Pensiamo alla scuola e a tutti i percorsi che hanno al loro interno una certa gradualità, ivi incluse le Arti Marziali. Quando le imbocchi, più o meno hai un’idea di dove ti condurranno.
Altre, pur essendo a pieno diritto dei percorsi, non mostrano così chiaramente la propria traiettoria. Pensiamo al mondo del lavoro e alle sue incertezze. Ma pensiamo anche a tutto quanto ruota intorno alla sfera delle relazioni, degli affetti e del proprio cammino personale interiore.
Altre ancora -ed è esperienza di tutti- conducono a cammini che hanno il gusto dei cocci infranti. Un mix di disillusione, di velleità, di reciproche maschere, conduce semplicemente ad un vicolo cieco. Nella migliore delle ipotesi, ad un’esperienza utile di fallimento.
In tutti i casi, la strada è un dato. La strada è un dono.
L’adolescente che siamo stati e che è in noi, fa fatica ad accettare questo concetto: cioè che la libertà sta in gran parte nella scelta della strada.
Quella libertà, che tutti ambiamo a sperimentare ma che non tutti siamo in grado di riconoscere e seguire, non può fare a meno delle traiettorie segnate da altri e su cui altri, camminandoci, ci propongono a investire.
Nel periodo culturale in cui, come faceva notare recentemente una psicologa, il marketing ci descrive come soggetti soli, in cui è “tutto intorno a te”, dalla comunicazione fino all’economia, dove la tua banca è “costruita intorno a te”, è facile scivolare in tempi selvaggi.
E’ facile iniziare a menare fendenti a destra e a manca per cercare una via. Schiacciati dall’inconsistenza del nostro peso di individui nella società che proprio perché è individualista cancella la singola persona, cerchiamo col nostro agitarci di ricordare innanzitutto a noi stessi che “noi valiamo” (altro rimando al marketing). E spesso, la perfida abitudine di questo tempo a considerare ogni strada come sensata, ci porta a non imboccarne nemmeno una, perdendo tempo ed energie a pensare di identificarne di nuove, rimanendo fermi.
L’adolescente ribelle dentro noi rifiuta l’indicazione di una strada perché la avverte come un’ingerenza paternalista, illudendosi di poterla creare da sé.
Ecco allora tempi in cui si parla ma non si ascolta; si è individui ma non società; si è scrittori ma non lettori; si è filosofi ma non saggi, si è bugeisha (esperti di combattimento) ma non budoka (conoscitori di Arti Marziali che le usano per un cammino di miglioramento), si èsoldati ma non guerrieri, si è religiosi ma non credenti.
Si è padroni del proprio destino ma non liberi.
Eppure la libertà, la cui conquista è impegno di tutta una vita, è, in ultima analisi, dono.
Il dono di ricevere una strada su cui crescere, su cui anche cadere e farsi male, su cui fidarsi di chi ci è passato prima.
I nostri ambienti possono dare tanto, in questi tempi strani, senza troppi discorsi. Nella pronta disponibilità di essere l’uno lo strumento di crescita tecnica dell’altro, c’è il seme di una libertà più ampia, di chi riconosce il proprio bene nel bene altrui. Non più individui difesi da muri “costruiti intorno a sé” ma persone capaci di camminare insieme e di cogliere gli infiniti gradi di libertà che una strada può offrire.
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