Facciamo subito una premessa, che forse servirà a chi ha un po’ di allergia alle “cose di chiesa”: questo vuole essere un post laico, crudemente laico.
Questi giorni sono tradizionalmente dedicati alla memoria di chi non c’è più. Sarà l’argomento, che è estremamente privato e delicato. Sarà che cade nei primi giorni in cui la riduzione della luce si fa sensibile. Fatto sta che non avevo tutta questa voglia di scrivere qualcosa questa settimana. Un po’ come se il fatto stesso di rompere il silenzio non fosse rispettoso del momento.
Poi poco fa è arrivata la notizia della morte di Maurizio. Notizia a cui Maurizio aveva preparato i suoi contatti nei giorni scorsi. Con quel modo asciutto e senza autocommiserazioni di chi ha vissuto nella concretezza. Una concretezza che lui, in una vita di lavoro dedicata alle piante, aveva imparato a riconoscere nella bellezza della natura.
Abbiamo conosciuto Maurizio, e i suoi compagni di pratica, su una spiaggia, a fine agosto del 2015. Ci hanno accolto e si sono aperti nei nostri confronti -noi in costume da bagno, loro in gi e hakama, incuranti del caldo, del sole, della sabbia e degli sguardi dei passanti.
Maurizio e i suoi amici: poche parole, tanta sostanza. Un cuore caldo in una tempra di granito, esattamente come la loro terra, smodatamente generosa con chi la sa comprendere e rispettare.
La vita è fatta di incontri -e di tante altre cose. Alcune persone camminano con te a lungo. Altre sono vicine per anni ma non te ne rendi conto. Altre ancora le incroci per un istante e in qualche modo incidono la tua traiettoria.
Maurizio appartiene a quest’ultimo gruppo.
Che cosa mi lascia Maurizio? Il ricordo del suo iriminage sulla spiaggia? Il suo sorriso con cui compensava il suo essere di poche parole? I consigli su come trattare le nostre piante?
Io credo fermamente che chi parte prima di noi ci lasci fondamentalmente un messaggio. Che la nostra vita, che la vita di chiunque, è importante.
Soltanto che, spesso, non cogliamo a pieno la serietà della cosa.
A volte, o spesso, ci limitiamo a sopravvivere. A far di tutto per, semplicemente, “restare”. Il più a lungo.
Giorni come questo, notizie come queste, che ciclicamente attraversano le nostre giornate strappandoci via affetti, conoscenze, legami, esigono di chiedersi a che cosa serva restare.
Visti da fuori, come chiunque segua con dedizione una disciplina, sembriamo degli isterici burattini vestiti di bianco. E forse a volte lo siamo, quando i nostri perché diventano deboli. Quando non ci accorgiamo di chi abbiamo di fronte, anche se ci pratichiamo insieme tutte le sere. Quando preferiamo dare di noi una versione socialmente accettabile e non il nostro meglio.
Un luogo dove si pratica una disciplina marziale non è un luogo di culto, anche se ci si avvicina. Tuttavia, se il gruppo che lo anima è intellettualmente onesto, diventa un luogo di trasformazione personale e collettiva. Si progredisce tecnicamente ma spesso ci si scopre (più) capaci di comprensione, di condivisione, di generosità, di perdono, di sincerità e di tante altre cose.
Restare qui e restare fedeli a un percorso condiviso di crescita serve a evolvere. Maurizio ha dedicato la sua vita a conoscere e curare la natura e certamente sapeva che c’è sempre un “dopo”, anche dopo la potatura più netta.
A che dopo siamo destinati? E se tutto questo nostro affannarci per praticare una disciplina, per cercare di avere una visione etica, non è finalizzato a questo “dopo”, che potremmo azzardarci a chiamare “santità” a che serve?
Grazie Maurizio per averci ricordato tutto ciò.
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