Prima o poi succede, è solo questione di tempo.
Presto o tardi, durante un allenamento spunta fuori questa frase, nelle sue varie declinazioni:
“Questo movimento/questa tecnica/questa situazione, marzialmente parlando non ha senso/ha senso/si fa così/non si fa così”
Eccetera, eccetera, eccetera.
E’ una frase interessante, che nasce solitamente in due contesti:
- Il praticante che pone una domanda al tecnico rispetto all’efficacia di una tecnica più o meno compresa (e più o meno ben spiegata);
- Il tecnico che vede un movimento eseguito da un praticante, e spiega il perché della correzione (e della sua linea didattica);
E’ interessante perché, detta in un certo modo e ogni tanto potrebbe far sembrare che la pratica ordinaria sia qualcosa di non ben definito, ordinato e finalizzato e che solo ogni tanto, quando si pratica “marzialmente parlando”, ci si ricorda che stiamo studiando un’Arte Marziale.
Intendiamoci bene. La comprensione filologica dei movimenti che si imparano in un’Arte Marziale non è solo culturalmente dovuta ma è anche fisicamente necessaria per il corretto apprendimento tecnico.
Da questo punto di vista, “marzialmente parlando” è sinonimo di “soluzione tecnica di un combattimento simulato proposta in un determinato sistema didattico”. Ed è un insegnamento necessario, piacevole da ricevere e stimolante da richiedere. Anzi: è un buon indicatore della qualità del tecnico e della sua preparazione.
In questo senso, una pratica costante che viene ogni tanto arricchita da un approfondimento di ricostruzione e contestualizzazione “storica”, ha il suo perché.
Esiste però un altro contesto in cui “marzialmente parlando” si fa una grande caciara. Una caciara dissociata. Da un lato, allenamenti ordinari, che contengono più o meno alla rinfusa tecniche mostrate a ciclo continuo. Dall’altro, ogni tanto si cerca di trovare un senso alla ripetizione di gesti che, al crescere della loro precisione tecnica diventano sempre più vuoti. Come? Chiudendo le tecniche in modo sempre più coercitivo; esplodendo in proiezioni sempre più invasive, nascondendosi dietro il dito che “marzialmente parlando” la pratica ha bisogno di “mordente”.
Nel passato, qualcuno sosteneva che nell’Aikido fossero presenti…2264 (non una di più, non una di meno!) tecniche di difesa e di attacco. Un piatto con 2264 ingredienti probabilmente è un piatto indigesto ma anche se fosse il migliore del mondo avrebbe sempre quei 2264 sapori (non uno di più, non uno di meno!).
Aggiungere un mestolo di spezie per cercare di ravvivarlo, o per convincere qualcuno ad assaggiarlo, potrebbe condurre a un gusto ancora più incomprensibile, “marzialmente parlando”.
I cuochi dozzinali, perlomeno, fanno così. Anche se paghi cinquecento euro a coperto.
Lo studio dell’efficacia di una tecnica ha un senso situazionale. Diversamente è un demone che distoglie dall’obiettivo primario dello studio di una disciplina che è tutto fuorché marziale.
Un militare, un addetto alla sicurezza, un membro delle forze dell’ordine: “marzialmente parlando” sono questi i nuovi e unici “bushi” per i quali ha un senso estendere la preparazione militare con una comprensione migliore delle tecniche a mani nude per gestire un…uke non collaborativo.
Ma a tutti gli altri, “marzialmente parlando”, a che giova aggiungere dieci cucchiai di peperoncino (o wasabi) se non sanno perché o cosa stanno mangiando durante ogni allenamento?
Abbiamo fatto un veloce calcolo. Dopo una decina di anni di pratica, si conoscono mediamente una quarantina di modi di devastare un polso con nikyo; una cinquantina con sankyo; altri cinquanta modi per disossare gomito e spalla con yonkyo, una ventina per frantumare il gomito con una leva controarticolare di rokkyo e udekimenage; una trentina per svitare il collo con iriminage, a cui si aggiunge l’omaggio del jujinage in una decina di forme; un centinaio di tecniche proiettive per far atterrare l’aggressore nel modo più sfracellante a terra e una cinquantina di tecniche che hanno come obiettivo danneggiare polso o l’intera catena polso-gomito-spalla (tra kotegaeshi e shihonage).
E che ce ne facciamo, davvero, di queste centinaia di modi di fracassare una persona?
Per sentirci in qualche modo persone importanti, per valere qualcosa? Abbiamo bisogno di eseguire queste tecniche con qualche tipo di mordente aggiuntivo, “marzialmente parlando”?
O non è che, in fondo in fondo, c’è la vocina del maestro Shifu di “Kung Fu Panda” che ripete anche a noi:
“Quando ti focalizzi sul Kung Fu, quando ti concentri…Fai schifo”
E allora, anziché metterci pazientemente a studiare, a crescere e a sforzarci di diventare persone migliori, costruiamo la nostra piccola immagine nel nostro piccolissimo luna park a mandorla. Niente di male, solo che, “marzialmente parlando” non c’è nulla di più lontano da una disciplina.
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