Dici “Natale” e il pensiero va all’infanzia. Allo stupore di fronte a un presepe. Alla meraviglia di fronte alle luci. Al calore di una carezza di un nonno. Alla gioia di scartare la confezione di un regalo.
Sensazioni serene, che scaldano il cuore con quel po’ di tenerezza che hanno saputo far attecchire in noi.
Dici “Natale” e vedi veicoli impazziti in un traffico disordinato. Furgoni che fanno lo slalom a velocità folli per consegnare sempre più pacchi. Gente che si manda a quel paese in coda nei centri commerciali -quei luoghi che servono quasi ad esorcizzare lo spettro di difficoltà e incertezze che stanno diventando sempre meno lontane e sempre più impattanti.
Dici “Natale” e, a fronte del calore che evoca nei tuoi ricordi, percepisci un vuoto freddo. E il Natale rischia di diventare la maschera grottesca di ciò che dovrebbe essere. Un’assenza di speranza vestita a festa. Un momento in cui augurare il bene a gente che si ignora. Una consuetudine di acquisti e scambi di beni tra persone che non sanno che succederà domani.
E questo stimola la riflessione. Sì, anche di un praticante di Aikido, che con i “vuoti” e i “pieni” dovrebbe saper fare i conti.
Noi sappiamo -perché prima ancora delle Arti Marziali, lo insegna la Natura- che ogni vuoto lasciato accessibile viene immancabilmente riempito. Dal tenere una guardia scoperta ad esprimere il proprio punto di vista in modo vacillante, è solo questione di tempo: i vuoti saranno riempiti.
Ecco, il Natale è un buon momento per farsi una domanda provocatoria: mentre si va in massa in centro a comprare i regali, che ne è del nostro centro? Chi lo abita? E’ presidiato o è vuoto? E se è vuoto, chi finisce ad occuparlo?
Spingendo un poco oltre la riflessione, chi pratica una disciplina marziale sa molto bene che è l’interazione tra un “vuoto” e un “pieno” che genera dinamicamente la relazione sul tatami.
Come vedere questo nella prospettiva del Natale?
Dici “Natale” e dici Gesù. Piccolo. Povero. Escluso. Natale è Natale perché si ricorda questo -e non l’ultimo modello di smartphone.
E allora pensi -che tu creda o meno- che il Natale è il racconto della nascita di un bambino in mezzo alle difficoltà. Ma in quei poco più di tre chili di fragilità c’è l’infinita forza di Dio.
Un Dio che si “svuota”, che diventa piccolo e che in questa piccolezza incontra l’umanità, diventandone parte. Non più “sopra” o “altrove” ma addirittura al “di sotto”. E’ quello che in teologia, da San Paolo in poi, si chiama kènosi (κένωσις).
Dici “Natale” e dici di un Dio che viene verso te, col passo incerto e gattonando, tendendoti le mani, guardandoti dal basso verso l’alto, perché tu gli insegni a camminare -e così facendo tu possa camminare insieme a Dio.
Ciò che le nostre abitudini duali percepiscono in una pratica marziale ci lusingano e ci illudono che la conoscenza e la perizia tecnica possano restituirci sicurezza e una certa misura di potere grazie a modi sempre più raffinati di usare il nostro “pieno”.
Il Natale ci insegna il contrario: che un “vuoto pieno” è infinitamente più potente, creativo e portatore di bellezza di un “pieno vuoto”. Che in quel bambino c’è più valore di tutta la frenesia che si fa per cercare di festeggiare qualcosa o qualcuno che non è lui.
Morihei Ueshiba non era certo un cristiano e lungi da noi il maldestro tentativo di tirare per la giacca chiunque usando citazioni fuori contesto. Però, chiediamoci: che cosa c’era dentro questa frase ne “L’Arte della Pace”?
Allontanare i pensieri limitanti e tornare alla vera vacuità.
Stare nel mezzo del grande vuoto. Questo è il segreto della via del Guerriero.
Dici “Natale” e pensi che forse la tua pratica di Aikido è tutta da rivedere e da rinsaldare nelle prospettive.
Chissà che questo però non sia il regalo più bello? Il famoso “regalo utile” che segnava la fine della nostra infanzia e ci avviava verso natali di maglioni più o meno discutibili.
Auguri a tutti per ritrovare nel vuoto del Natale, quel “vuoto pieno” che gattona verso tutti noi.
Andrea & Sara
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