L’Aiki-babacio è un simpatico pupazzo, che il nostro Sensei disegna spesso alla lavagna durante gli allenamenti.
A furia di vederlo, è diventato quasi uno di famiglia; un compagno di pratica un po’ particolare.
Visto così fa tenerezza. A partire dal nome: Babacio. Nel dialetto delle nostre latitudini, il babacio (pronuncia: babàciu) è il pupazzo. Anticamente però il povero Babacio era molto più simile al suo antenato etimologico latino, il babbeo. Così i nostri antenati quando dicevano a una persona che era un babacio gli davano non solo del peluche (che non esisteva) ma anche qualcosa di più.
Quindi il nostro Aiki-babacio entra silenzioso nei nostri keiko portandosi con sé il peso del suo nome. Ma non basta.
Oltre alla fatica della sua storia personale, l’Aiki-babacio deve far fronte anche ad un body-shaming bidimensionale. Va detto, a sua discolpa, che il nostro Sensei viene da un percorso scolastico e accademico dove se proprio si deve disegnare, si usa al limite Autocad e mai la mano libera.
Però, in effetti, povero Aiki-babacio: con la sua testa macrocefala, i suoi arti larghi e asimmetrici, il volto senza occhi, naso e bocca… Sembra un alieno mandato in avanscoperta dai suoi, ma senza troppa convinzione di conquistare il pianeta Terra.
“Ehi, Gvornxorb34, vai avanti tu che a noi viene da ridere…”
Una cosa così, insomma.
Eppure l’Aiki-babacio è un prezioso alleato della pratica. Siccome non è possibile essere messi peggio di lui, un po’ tutti riusciamo a identificarci in lui.
Diventa allora possibile comprendere un po’ di più, attraverso il suo fare da modello, come funzionano gli emisferi destro e sinistro del cervello. Quali facoltà abbiano. Le nostre asimmetrie e la nostra dimensione nello spazio.
Si riesce addirittura a intuire come nel nostro essere si integrino le componenti più sottili. Ed ecco che nella testa dell’Aiki-babacio si intersecano tre nuvolette: rossa, verde e azzurra, che simboleggiano spirito, mente e anima.
L’Aiki-babacio rimane impassibile. Muto testimone dello sconforto del Sensei quando qualcuno alza la mano e dice:
“Ah, quindi l’anima riflette lo spirito e la mente“
Se l’Aiki-babacio fosse disegnato almeno con le labbra, potrebbe perlomeno sorridere, ascoltando per l’ennesima volta la paziente puntualizzazione: “Lo scopo della mente è riflettere, quindi funge da ganglio tra spirito e anima”… Tuttavia, non solo non ha labbra ma non ha nemmeno orecchie, quindi non può gustarsi tutto ciò.
Anzi. Se poi le divagazioni sul tema portano l’argomento su linee di forza, meridiani, assi di rotazione, l’Aiki-babacio viene trafitto da linee e segni di ogni tipo. Una sorta di bambola voodoo in salsa marziale, insomma. Poveretto.
L’Aiki-babacio è insomma il samurai da lavagna a servizio di noi che a volte sul tatami abbiamo più o meno le stesse caratteristiche. A volte transitiamo nelle ore di pratica o di condivisione del tempo col gruppo come se non avessimo occhi, orecchie, mani (la bocca invece funziona sempre molto bene). Totalmente impermeabili al cambiamento, convinti di aver cambiato tutto. Spesso del tutto privi di capacità di ascolto ed empatia, convinti di essere dei messia certificati, l’anello di congiunzione tra Gandhi e Madre Teresa di Calcutta.
E che dire dei nostri corpi… Per quanto sia forte la nostra convinzione di essere delle statue di Michelangelo viventi, la goffaggine è sempre dietro l’angolo.
Se poi infine dovessimo dare una rappresentazione tangibile, visibile e credibile dell’integrazione in noi di corpo, mente, spirito e anima; se il nostro essere dovesse mostrare in modo comprensibile la geometria del movimento, probabilmente ci sarebbe un’impennata del PIL trainata dall’intero comparto della psicanalisi…
Insomma, siamo un po’ tutti babacio che fanno Aikido, nelle tante sfumature del termine. Lunga vita a te, Aiki-babacio e grazie per la tua inafferrabile presenza nel Dojo.
Disclaimer: foto per gentile concessione di Marco Rubatto