Mi ha sempre fatto effetto una frase attribuita a Morihei Ueshiba. Quella in cui dice che per praticare Aikido è sufficiente la stessa forza che serve a sorreggere una mela.
Qualche sera fa ho avuto la possibilità di incrociare sul tatami un caro amico, che pratica Aikido da una vita. In particolare il “Ki Aikido“.
La tecnica era suwari waza ryote dori kokyu ho. Per chi non pratica Aikido: un esercizio da seduti nel quale il compagno ti afferra i polsi e tu, usando linee di squilibrio e connessione, lo porti a terra.
Una tecnica praticata a lungo, da sempre. Quindi, si suppone, con una certa padronanza. E invece…
Invece il mio amico mi afferra ma già in quella fase avverto che c’è qualcosa di diverso. Sento la presa: è solida ma al contempo non sento nessuna pressione.
Poi avvio l’esecuzione dell’esercizio per come sono abituato e mi sembra di dover spostare una quercia secolare con le radici profondissime.
È stato contemporaneamente frustrante e illuminante. Frustrante perché pensi di aver imparato qualcosa nel tuo dialetto, arriva un ospite che dice le stesse cose che dici tu ma in un’altra lingua ed è subito caos. Illuminante perché ha posto in evidenza l’ingrediente fondamentale della pratica (anche della pratica tecnica) che è la rilassatezza.
Una rilassatezza che non è sinonimo di spegnere il corpo, facendo collassare l’estensione degli arti come un palloncino sgonfio. Piuttosto, rilassarsi, come dice questo amico, è essere vivi.
Mi ritornano alla mente sempre più le parole di Seishiro Endo Sensei: “Aikido si pratica tra persone vive…Ma non ci sono molte persone vive che praticano”.
Una sensazione strana: tutto ha cominciato a vacillare e tutto ha iniziato a convergere. E, spegnendo quella dannata voglia di finalizzare e muovendo semplicemente il centro verso il mio compagno, il movimento è nato, senza sforzo. E, come conseguenza, la tecnica è stata eseguita.
Ma quando la mente tornava alla volontà di fare, le tensioni muscolari e articolari, diventavano linfa che faceva crescere a dismisura le radici del mio compagno, trasformandolo in una quercia inamovibile. Il famoso “peso sotto” del Ki Aikido, che è sempre un’esperienza che lascia di stucco.
Che peso ha l’aria? Che sensazione lascia essere afferrati da essa? Che effetto fa sentire, a parti invertite, di afferrare il vuoto eppure di non poter in alcun modo usare la propria forza?
C’è un che di inesorabile in queste esperienze. Eppure non è un’esperienza negativa, anzi. Ogni volta che sei a contatto con una persona che è quello che dice e di conseguenza fa ciò che è…non puoi che misurare la tua distanza tra te e chi hai davanti.
In questo sta la bellezza della disciplina: uno strumento di condivisione e di crescita, che fi sbatte in faccia i limiti ma che indica una meta possibile e una strada per trasformare la frustrazione in risposta,la fatica in esperienza, l’aria in radici.
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