Portare pazienza è il fondamento di una pace duratura. La rabbia è il nostro peggiore nemico.
Sulle alture di Shizuoka, a picco sull’oceano, si trova il santuario di Kunozan Toshogu.
Immerso nel verde di bambù, alberi di canfora e corbezzoli, offre una vista impareggiabile e custodisce l’urna in cui riposano le ceneri di Ieyasu Tokugawa.
Il periodo Edo nasce proprio con Ieyasu Tokugawa, che dedica la sua esistenza a unificare un Giappone frammentato in infinite guerre tra clan.
Lo shogunato dei Tokugawa apre la strada a oltre duecentocinquanta anni di stabilità interna (1803-1868).
Poco prima di morire, Ieyasu Tokugawa promulgò un atto teso a disciplinare e controllare le varie classi sociali.
Soprattutto, viene chiaramente definita la classe dei guerrieri (bushi/samurai) con chiaro riferimenti allo stile di vita che questi devono tenere (essenzialità e frugalità).
Il contesto culturale in cui nacque Morihei Ueshiba è quindi il risultato di secoli di costruzione a tavolino di una società confinata nelle regole ferree di uno stato militare.
L’anima dell’Aikido, come quella delle discipline marziali tradizionali, poggia così su due pilastri.
Il primo rimanda alla solidità delle tecniche perfezionate per secoli da caste di guerrieri. Il secondo si poggia sullo sgretolamento del sistema sociale giapponese.
La restaurazione Meiji dal 1868 apre il Giappone a un mondo più veloce, in cui la tecnologia militare mostra la sostanziale inutilità della formazione marziale tradizionale.
La tragedia nucleare offre ai Giapponesi e a Morihei Ueshiba l’evidenza di essere depositari di un sapere che non ha potuto nulla contro la sconfitta.
In questo silenzio riflettiamo sul primo shogun, celebrato per aver pacificato il Giappone, attraverso una vita passata di guerra in guerra.
Ci chiediamo quale frutto stabile di pace possa nascere dalla guerra: se è vero che portare pazienza è il fondamento di una pace stabile, come può la rabbia essere vinta? Come può non essere rabbioso chi è sconfitto?
È solo questione di tempo e il fuoco divamperà, ancora e ancora. Non importa quanta pazienza troverà a fronteggiarlo.
Noi siamo dei privilegiati: la guerra è vicina ma non è in casa, per ora.
Ci possiamo permettere di ridurre il tutto a conflitti simulati sul tatami. A leve, colpi, fendenti, prese e proiezioni, che sono una lontana eco di gesti che dovevano sottomettere e decretare vita o morte.
Abbiamo il dovere di essere consapevoli di tutto ciò e di capire che cosa farcene di questa tradizione.
Scegliere la pace è costruirla ogni giorno: in questo luogo percepiamo l’intuizione di O Sensei e la portata della sua prospettiva. Lavorare su quella parte di noi, su quella rabbia che cova sotto le ceneri di un pacifismo di facciata e che esplode in conflitti laceranti.
E chissà, quando Ieyasu Tokugawa scriveva che portare pazienza è il fondamento di una pace duratura, e che la rabbia è il nostro peggiore nemico, forse aveva già intuito che qualcuno, dopo di lui, avrebbe trovato una via.