Ma tu, ti ricordi di quando avevi dodici, quindici anni?
La risposta probabilmente è sì. Tuttavia, come tutti i ricordi, questi vengono rielaborati alla luce del punto di vista di oggi e dell’esperienza maturata nel frattempo.
Non è difficile tornare con la mente e le emozioni a quegli anni. Ma allora come mai è così complicato riuscire a fare delle proposte durature per adolescenti e preadolescenti?
Se lo chiedono in tanti: genitori, docenti, animatori e quella particolare categoria di educatori che sono gli istruttori di qualsiasi disciplina.
Chiunque abbia qualche responsabilità su gruppi di minori, può vedere quanto man mano che si passa dall’età infantile all’adolescenza, la partecipazione ad attività di gruppo generalmente diventa sempre più rarefatta.
Sembrano esserci ovviamente delle eccezioni: gruppi che hanno una forte presa di appartenenza e che puntano a “restituire” ai giovani una qualche forma di gratificazione personale sotto forma di premiazione per le competizioni vinte, mostrano minor sfilacciamento.
Tuttavia è solo un’apparenza dovuta ai grandi numeri. La percentuale di abbandoni e di continue interruzioni di frequenza è comunque paragonabile in tutti i gruppi. Ovviamente quello che cambia è il bacino di utenza di partenza, che per gli sport di squadra sarà certamente molto più ampio di quello del gruppo giovani collezionisti di libri in sanscrito…
Per comunicare con efficacia qualcosa a qualcuno, servono tre ingredienti fondamentali: un contenuto chiaro, un canale di comunicazione appropriato e qualcuno a cui comunicare.
Non è così scontato che si sappia che cosa dire, quando e come dirlo e a chi. Ci sono esempi di incapacità comunicative a tutti i livelli.
Se si vuole fare una proposta a dei teenager è ovvio che bisogna sapere che cosa proporre. Ma prima di tutto: che cosa sappiamo di loro, a parte che esistono?
Come vivono la loro giornata? Che cosa pensano? Come lo esprimono? Su che canali? Come socializzano? Dove cercano informazioni? Come comunicano tra loro?
Queste sono solo alcune domande e pensiamo che avere una risposta precisa, sarebbe un atto di grande presunzione.
Lavorare con e nelle scuole aiuta ad attivare un primo contatto con l’ambiente in cui i ragazzi trascorrono gran parte della loro vita organizzata. E, tutto sommato, se le attività si svolgono in coordinamento con la scuola o nelle sue strutture sportive, si può costruire un buon gruppo.
Ma, in queste condizioni, l’adolescente si trova a frequentare un’iniziativa ancora fortemente influenzato dall’inerzia dell’abitudine. Una versione aggiornata del medesimo impacchettamento con cui un bambino delle scuole elementari viene smistato tra le tante attività della settimana.
Tanto è vero che nelle nostre manifestazioni, nelle fiere come nei parchi, sovente accade che un genitore si avvicini, spesso col figlio/a a rimorchio, per chiedere informazioni. La più classica delle situazioni è che il genitore -spesso single- sia alla ricerca di una sponda educativa per stimolare un ragazzino o un’adolescente in pieno spleen ad interessarsi di qualcosa.
Non è facile avere dodici, tredici anni, essere passati attraverso un biennio di interruzione della socialità. Non è facile essere destinatari di un’istruzione scolastica che è carente, nonostante i salti mortali di tanti docenti.
Non è facile vivere determinati traumi e osservare la debolezza dei propri familiari quando non si è ancora compresa la propria.
Non è facile comprendere la necessità di relazionarsi nel mondo reale quando il mondo virtuale è così pervasivo e apparentemente più semplice.
Il risultato è che il genitore si esalta e si iscriverebbe subito. Ma negli orari del corso non potrebbe venire perché deve stare a casa per accudire il minore.
Verrebbe anche insieme al figlio/a. Ma l’adolescente -forse anche a ragione- non praticherebbe mai con la mamma/papà.
Allora l’adolescente viene, svogliato il giusto, per quel paio di prove, animato più dal desiderio di mostrare al genitore che aveva ragione a dirgli di lasciar perdere, che non gli sarebbe piaciuto.
E la storia finisce lì, per prendere solitamente improbabili -eppure reali- forme di socializzazione alternativa, in cui la costante è la mancanza di una supervisione di un adulto.
Attingere ai propri ricordi di adolescente serve per ricordarsi di un’età estrema. Mente e corpo sbocciano e così desideri che spesso si trasformano in velleità perché si scontrano con i limiti di una società per la quale “non sei ancora pronto”. Ed in effetti non lo sei, solo che un po’ non lo sai e un po’ cerchi di non saperlo.
Quindi il primo ingrediente per provare a entrare in contatto con il mondo degli adolescenti è certamente il rispetto.
Un rispetto anche della realtà: per dei ragazzi, siamo generalmente tutti dei “boomer“. Un po’ come se degli alieni cercassero di insegnare a una formica a costruire un’astronave.
Parlare due lingue diverse non è semplice.
Eppure.
Eppure dobbiamo mettere in campo ogni sforzo possibile per entrare nei canali e nei luoghi della comunicazione usati dai ragazzi. Che tanto avranno sempre delle zone in cui riusciranno a escludere i non coetanei, esattamente come facevamo noi e quelli prima di noi, fin dalla notte dei tempi.
Ma quando abbiamo avuto la fortuna di incontrare sulla nostra strada adulti che sentivamo volerci bene; che riuscivano a parlarci dando prova di capirci; che erano al corrente delle tendenze che seguivamo, di quello che ci piaceva…Lì qualcosa di bello è successo per noi.
Si tratta quindi di ripensare da un lato che cosa, di quello che possiamo dire, sia veramente utile dire ai giovani.
Occorre pensare a metodologie didattiche, di allenamento e di finalizzazione che possano essere utili al loro vissuto. Non alla memoria del nostro. I “perché” devono essere alti e non posono essere legati alla sola somministrazione di un piatto che sappiamo cucinare, magari anche bene.
E bisogna professionalizzare la comunicazione, maneggiando ciò che maneggiano le persone a cui vuoi parlare.
Che, per inciso, secondo un report di TPI di agosto 2023, ormai non utilizzano Google per cercare informazioni ma piattaforme come TikTok.
E’ ora forse di darsi una svegliata.
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