Il Riviera Seminar rappresenta uno degli eventi più importanti all’interno dell’Evolutionary Aikido Community, il gruppo internazionale guidato da Patrick Cassidy Sensei di cui siamo membri.
E’ un evento molto particolare, che non si riesce bene a descrivere usando le solite categorie che inquadrano solitamente uno stage. Non è prettamente tecnico, se per tecnico si intende dedicare tre giorni a vedere, studiare e praticare un elenco di tecniche. Non è esattamente una tre giorni di coaching, nel senso che il potenziamento delle proprie competenze relazionali, emotive e mentali non è l’unico aspetto che si sviluppa.
Non è nemmeno, a rigore, una rimpatriata fra amici. O meglio: è la migliore occasione nell’anno per poter incontrare dal vivo persone che vivono in Europa, nel Medio Oriente e nelle Americhe e con le quali negli anni è nato un rapporto di amicizia. Però, da un lato ogni anno partecipano persone per la prima volta; dall’altro i ritmi e l’intensità delle sessioni fanno sì che non ci sia granché tempo da dedicare alle public relations, cosa che avviene spesso in altri contesti.
Questo evento viene ideato e condotto da Patrick Cassidy e Miles Kessler Sensei. Negli anni, questi due insegnanti hanno sempre cercato di definire un tema di lavoro ambizioso per il Riviera Seminar.
Sono persone che, nel loro metodo di insegnamento, hanno come obiettivo primario la conduzione di se stessi -e quindi del gruppo- verso quel margine critico, quella zona di confine tra ciò che si sa già e ciò che è ignoto, per una crescita tecnica e personale.
Noi abbiamo letto in questa prospettiva l’estensione a Bruno Gonzalez Sensei dell’invito ad essere un co-conduttore del seminario.
L’Evolutionary Aikido Community è vasta, estesa e ospita differenti anime e sensibilità tecniche che derivano da percorsi tra loro differenti. E’ un dato di fatto però che tanto Patrick Cassidy quanto Miles Kessler hanno un‘impronta tecnica e didattica che affonda le proprie radici nella grossa esperienza da essi maturata in Giappone, negli anni in cui sono stati studenti a Iwama da Morihiro Saito.
Esattamente come accade in qualsiasi piccolo Dojo, gradualmente e senza accorgersene, il gruppo acquisisce come per osmosi la prospettiva, lo stile e le forme dei responsabili del corso.
Potremmo azzardare che anche per la nostra comunità accade più o meno lo stesso e quindi è stato un atto di coraggiosa apertura e di necessaria multilateralità aprire le porte a un insegnante che non solo porta in dote un prestigioso curriculum ma anche e soprattutto un talento didattico di prima grandezza.
Bruno Gonzalez è entrato in punta di piedi in un ambiente per lui nuovo -così come per molti dei presenti era nuova la proposta della linea tecnica che scaturisce da Christian Tissier. Abbiamo apprezzato il suo enorme tatto, la sua chiarezza nel proporre esercizi in netta connessione con l’utilizzo della spada e la sua paziente disponibilità sul tatami e fuori.
A parole è facile dire che, se si riesce a rimanere saldi nei principi, tutto fila liscio. Ed è stato effettivamente così: seppure con impostazioni tecniche e didattiche differenti, gli esercizi di connessione proposti da Miles Kessler non erano altro che la versione a corpo libero degli esercizi con la spada e la gestione della verticalità dell’asse di Bruno Gonzalez. La cura all’organicità del movimento e i dettagli sull’intenzione mostrati da quest’ultimo non erano altro che il percorso proposto da Patrick Cassidy nel sentire il proprio compagno e nella condivisione dei propri centri.
Un percorso, per usare termini chiave dell’evento di quest’anno che dall’apparente dissonanza, conduce a una risonanza e a una certa coerenza, che cocrea l’azione.
Per i tre insegnanti, che si incontravano per la prima volta e per giunta in occasione di una docenza, è stato sicuramente impegnativo. In qualche modo si sono messi essi per primi ai limiti della propria zona di comfort. Eppure il loro è stato un incastro tra meccanismi diversissimi tra loro eppure tutti funzionali e funzionanti. Per usare le parole di Bruno Gonzalez, “organici“.
Nelle trite e ritrite discussioni si sarà detto un miliardo di volte che, per esempio, lo stile dell’Aikikai di Francia è molto fluido e dinamico mentre l’Iwama Ryu è chiaro e potente nella sua geometria più o meno maniacale…
Ma è così davvero?
Il Riviera Seminar, nel lavoro facilitato dagli insegnanti, ha mostrato che è così solo alla superficie, mentre in realtà esiste un luogo interno a tutti e interno alla relazione che si crea nella coppia di pratica, dove la tecnica emerge all’apparire di ciò che unisce.
Unità e differenza sono essenziali per la crescita. Come è stato detto in questi giorni, se si vive una dimensione dove si fa esperienza soltanto di ciò che unisce, si scivola nell’omogeneità e si finisce per non crescere. Del resto, se ci si fissa soltanto sulle differenze, non solo si perde di vista ciò che unisce ma -per dar voce a tutto ciò che è diverso- si finisce immancabilmente per non approfondire mai nulla e andare fuori strada.
Unità e diversità sono elementi costitutivi dell’esperienza di chiunque, fuori e dentro il Dojo e richiedono competenza per essere trattati. Quella competenza che i tre insegnanti hanno sviluppato evidentemente nel loro percorso e che in modo credibile hanno potuto mettere a disposizione dei partecipanti.
Unità nella diversità: questa è una definizione ottimale di una disciplina come l’Aikido. La scelta di questo tema così ambizioso, mesi fa, ha scatenato una serie di reazioni scomposte, sui social. Infatti il termine diversità, soprattutto nella sua accezione polarizzata nella società anglosassone e americana ha una semantica ormai molto distante da quella che ha in altre culture e in altre zone dell’occidente stesso.
Abbiamo molto apprezzato il coraggio degli organizzatori nel mantenere fisso il tema e nel proporre con umile fermezza un percorso, un’esplorazione fatta attraverso tutte le facoltà dei presenti, mediate dalla relazione e dal contatto fisico con i compagni di pratica. Perché noi siamo molto più di qualsiasi parola che possa definirci e soltanto chi ha il coraggio di toccare fisicamente chi è può apprezzare la sua unicità fatta dalle proprie diversità.