Mi ci sono voluti parecchi anni prima di capire e sentire che l’Aikido del Maestro Ueshiba era molto diverso da quello dei suoi discepoli. Bisogna anche dire che ciascuno dei suoi allievi lo praticava a proprio modo, secondo la propria motivazione personale, secondo la propria apertura mentale. […]
Qual era, sulla base di quanto ho potuto osservare, la differenza essenziale tra il Maestro e i suoi allievi? Gli allievi, ad eccezione forse di qualcuno, erano affascinati dal potere straordinario del Maestro, e lo hanno seguito con lo scopo di acquisire questo potere, per diventare sempre più forti. Sono arrivati, in generale, all’Aikido di consolidamento la cui formula consiste nel consolidare se stessi, attraverso l’incessante ricerca del rafforzamento dei punti deboli. […]
L’Aikido del maestro Ueshiba mi sembrava tutt’altra cosa: era l’Aikido di conciliazione, di comunione con l’Universo. Sentivo nella sua personalità, nel suo comportamento e nella sua tecnica, una condizione di completa spoliazione. Era inattaccabile come l’aria e, chiunque lo attaccasse, veniva portato via nel suo vortice. […]
E’ infinitamente più facile spiegare il consolidamento. In ogni caso, è più logico indicare, fornire l’obbiettivo da raggiungere, con la promessa di un aumento di efficacia, in termini accessibili a tutti.
Anche se si comprende e si accetta l’Aikido come la via della comunione con l’Universo, ciò avverrà sul piano puramente spirituale. Non appena è alle prese con difficoltà reali, lo spirito lascia il posto a una meschina aggressività.
A forza di guardar praticare le persone, ho finito per sentire in filigrana cosa avesse spinto ciascuno ad esercitarvisi. Vi sono tanti Aikido quanti sono i praticanti, allo stesso modo in cui esistono tante grafie quanti sono gli scrittori. Quello che è terribile è che la motivazione iniziale, intima e subconscia, permane spesso immutata, malgrado la pratica. Sono rari coloro che ammettono la ristrettezza delle loro vedute e che provocano un radicale cambiamento nel proprio atteggiamento.
Tuttavia, questo è stato il caso con il Maestro Ueshiba. Egli diceva di essere al suo primo anno di Aikido. Sentivo che la sua evoluzione non giungeva mai ad una fine.
Questa la preziosa testimonianza di Itsuo Tsuda (1914 -1984) contenuta ne “La scienza del particolare“, che risale direttamente agli anni in cui Tsuda era allievo di Morihei Ueshiba.
Non c’è molto da aggiungere ma molto da riflettere e meditare.
L’Aikido è una disciplina. Una disciplina è tale se è viva. Ed è viva se evolve. La prova è che l’Aikido del fondatore appariva sotto ogni profilo differente da quello degli allievi.
Questo porta a dover accettare che nel contenitore che oggi chiamiamo Aikido c’è un contenuto certamente molto diverso da quanto viveva quotidianamente il fondatore; altrettanto sicuramente è qualcosa di molto distante da quanto vissuto dai primi allievi.
A cosa si deve questa differenza? Dove si riscontra?
Non è una differenza di forma: la geometria umana fa sì che grosso modo le tecniche di immobilizzazione e proiezione siano sempre quelle. Un lavoro di filologia può perpetrare la forma tanto nelle tecniche a mani nude, quanto in quelle con le arme.
La differenza nasce, dice Tsuda, dalle motivazioni per cui una persona si dedica ad una disciplina. Le motivazioni di ciascuno portano ognuno all’interpretazione della medesima forma e quindi alla definizione di tanti Aikido quanti sono coloro che lo praticano.
Spesso la motivazione non è chiara. Sovente si svela lungo il cammino, un po’ come se uno decidesse di partire per un viaggio e poi, arrivato alla meta o vicino ad essa, si convincesse che era proprio lì che voleva andare. Molte volte le motivazioni variano.
Il più delle volte, suggerisce Tsuda, le motivazioni non sono poi così nobili. Spesso si limitano a cercare di diventare sempre più solidi, sempre più impenetrabili. L’Aikido di consolidamento.
L’Aikido, nella sua origine, mette però come fondamento un’attitudine opposta: la spoliazione completa come unico requisito per arrivare ad un’Aikido di conciliazione.
Un po’ come di fronte a personaggi come San Francesco d’Assisi, rimaniamo tutti affascinati dalla sua radicalità. Santo per molti, per altri solo un ribelle visionario; per tutti una persona che ha avuto il coraggio della completa spoliazione. A otto secoli di distanza la sua figura e la sua opera sono vive e sparse in tutto il mondo.
Che cosa ci impedisce, che cosa ci trattiene dal diventare un altro Francesco di Assisi, un altro Morihei Ueshiba?
Molto probabilmente non a tutti è richiesta la medesima radicalità. Ci sarebbero troppi O Sensei in giro e il mondo dell’Aikido è già caotico così com’è. E ci sarebbe troppa gente che va in giro nuda ad Assisi senza un soldo in tasca (che tasche puoi avere se sei nudo, del resto?).
Ammesso che sia così, la spoliazione primaria è mettere a nudo principalmente le proprie motivazioni -o la loro totale assenza. In un modo o nell’altro è il primo passo per capire se si desidera approfittare di una disciplina per cambiare o no.
E se si cambia attraverso la disciplina, la disciplina cambia con noi.
Se così fosse, le differenze di stile e di linee didattiche in una disciplina marziale sarebbero il segno di una tendenza dinamica, evolutiva. Sarebbe un segno enormemente positivo.
Se invece fossero la cristallizzazione di forme tenute in vita senza comprenderne le motivazioni, in attesa che queste prima o poi si palesino in qualche modo, sarebbe il segno della stagnazione più profonda.
In un modo o nell’altro, provare a conciliare forma e motivazione, stile e disciplina, se stessi e gli altri: questo è Aikido e vale la pena provare a vedere dove ci porta.
Là dove il primo anno di Aikido ha portato Morihei Ueshiba.
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