Durante un recente allenamento nel Dojo, il nostro Sensei ci ha condotti attraverso un’intensa esperienza che potremmo definire di “dare il benvenuto al pericolo”.
Ci è stato proposto un percorso graduale, attraverso una serie di attacchi con il coltello. In un primo momento bisognava ricevere e schivare alcuni fendenti chiari e lenti stando ritti di fronte al compagno ma senza muovere i piedi.
Poi, sia l’attaccante sia il ricevente potevano muovere liberamente i loro corpi, mantenendo sempre però chiara la traiettoria dell’attacco.
Nella fase successiva, chi riceveva l’attacco poteva interagire con l’attaccante, afferrandolo, deviando ed eludendo gli attacchi.
Durante tutte queste fasi del processo, a volte gli attaccanti erano liberi di “sparare a vuoto”, cioè di portare degli attacchi al di fuori della sagoma del compagno
In questo modo, chi riceveva poteva notare il suo stato mentale.
Se il suo sistema era occupato e preoccupato di ciò che poteva accadere, il corpo sarebbe stato mosso da una sorta di “sistema d’allarme parassita”. Un movimento inutile e drenante un sacco di risorse.
Alla fine di questo processo è arrivata la domanda cruciale.
Se di solito siamo preoccupati di qualcosa che possiamo evitare o che in realtà non ci trascina davvero in una zona pericolosa (tale era il motivo per cui ci era chiesto di schivare i fendenti e di testare il livello di pre-occupazione del nostro sistema), cosa si può fare quando ci troviamo in quel punto dove siamo davvero in pericolo?
Gi Aikidoka sul tatami al Dojo non sono stati in grado di dare una risposta rapidamente. Come spesso accade, la migliore risposta è stata data dall’ultimo – in ordine di iscrizione – kohai che affermava che dobbiamo andare verso il pericolo.
Integrando l’attacco, le opportunità emergono a grappoli.
Questo è il motivo per cui lo studio delle tecniche di disarmo, o buki dori, è così importante.
Attraverso lo studio di rokkyo, che è il sesto e ultimo principio nella metologia didattica di Morihiro Saito Sensei, e quindi è qualcosa di leggermente diverso da hiji kime osae, che è il termine con cui altri stili si riferiscono al rokkyo, che facciamo un passo definitivo, dopo gokyo, nel mondo delle tecniche di disarmo.
In effetti, la prima forma che viene insegnata della presa del coltello, o tanken dori, dopo gokyo è tsuki dai rokkyo tanken dori, supponendo che un attacco diretto (portato come un pugno) sia ricevuto in un modo che, alla fine, il polso e il braccio dell’attaccante siano in una tale leva, rafforzata da una pressione sul gomito, che l’attaccante è “gentilmente” costretto a rilasciare la presa sul coltello.
Ma, mentre è interessante e, in pura linea teorica, utile per padroneggiare le tecniche di disarmo, di sicuro la maggior parte di Aikidoka non affronterà un attacco di coltello in tutta la vita.
Piuttosto, tutti noi, Aikidoka o meno, sperimenteremo continui attacchi dalla vita e dal suo meraviglioso esercito. E più saremo passivi e renitenti, più l’esercito conquisterà parti della nostra esistenza.
Quando si pratica con il supporto di armi di legno che non tagliano né pungono, in realtà diventiamo sempre più capaci di identificare dov’è il pericolo. Dov’è davvero.
Nonostante gli allenamenti, ci vuole un po’per capire che il pericolo è spesso lì: un puntino nella vastità dell’universo. Cos’è in fondo una lama affilata rispetto all’immensità dello spazio?
Eppure diventiamo lentamente schiavi delle nostre paure, autobloccando i nostri sistemi.
E perdiamo la capacità di andare là, dove il rischio è mitigato così tanto che possiamo invertire la polarità della situazione, prendendo il centro del pericolo e facendo fiorire una nuova storia.
Riassumendo, mentre rokkyo fa parte di un percorso tecnico e di studio dell’anatomia dell’essere umano in modo tale da ottenere il controllo attraverso il blocco delle articolazioni , a un livello superiore, è contemporaneamente un portale, come gokyo, per il più duro addestramento di tutti: sconfiggere le nostre paure.