Probabilmente (sicuramente!), ogni praticante di arti marziali con un’età compresa dai 20 ai 60 anni conosce la serie manga di Hokuto no Ken (Ken il Guerriero) e il suo personaggio principale: Kenshiro.
In occasione delle celebrazioni “in tutto il mondo” dei 35 anni della prima edizione di questo manga, alcuni membri del nostro Dojo sono andati al cinema per la proiezione della versione rimasterizzata di Ken il Guerriero – La leggenda di Hokuto.
In realtà, il film non è nuovo: è una versione rinnovata del film esteso del 2008 in cui la storia di Kenshiro e dei suoi fratelli maggiori Toki e Raoh è raccontata in un mondo post-nucleare.
Profondamente ispirato al Mad Max, Ken il Guerriero ha portato nelle TV di mezo mondo una narrazione epica fortemente radicata nel modello culturale giapponese; tanto nelle sue tragedie (l’olocausto nucleare) quanto nella descrizione di una società basata su rigide relazioni gerarchiche.
Da bambino, Kenshiro ei suoi fratelli sono allevati dal maestro Ryuken dell’Hokuto Shinken, una potente e antica scuola di kenpo.
Mentre tutti i ragazzi si allenano duramente e si dedicano alla disciplina proposta, alcune differenze iniziano a manifestarsi.
Raoh, il più grande, è ossessionato dall’idea di diventare l’uomo più forte del mondo, così da poter sottomettere chiunque.
Toki, quello nel mezzo, offre le sue abilità per curare le persone malate attraverso una dolce applicazione delle tecniche apprese, applicate allo tsubo giusto
Apparentemente Kenshiro non ha ambizioni. Si allena, mostrando spesso compassione per coloro che sconfigge in combattimento.
Questo è il motivo per cui è scelto dal Maestro per la sua successione.
Il fratello maggiore non accetterà mai questa decisione e questo porterà i fratelli a combattere l’uno contro l’altro fino a quando la pace sarà assicurata.
Non è una trama così originale, per niente.
Eppure, questi personaggi affascinano dal 1983 un sacco di persone. Sì, c’è una grande enfasi sulle abilità tecniche marziali, con calci impossibili, salti, mani che tagliano corpi, fanno esplodere ossa e teste…
Ma il legame magnetico tra Hokuto no Ken e il pubblico è principalmente dato da tre semplici punti:
Primo: c’è una netta separazione tra il bene e il male e, anche dopo un’enorme quantità di dolore, prevale il bene. Sempre. In un mondo in cui non è diventato così chiaro come riconoscere queste polarità, questa semplificazione è vincente.
Secondo: c’è sempre una possibilità per le persone malvagie di spiegare perché hanno agito in quel modo. E capita molto spesso che, al di là della scorza di un personaggio brutale, ci sia una storia che lo ha portato a una strada sbagliata. Il pentimento è possibile, sempre, prima che sia troppo tardi.
Terzo: i più giovani e i meno potenti, alla lunga, prevalgono e ristabiliscono l’ordine in un mondo sanato dall’odio.
Quest’ultimo punto è piuttosto interessante. La relazione tra individui anziani e giovani (senpai / kohai) è una struttura portante tangibile della società giapponese.
In realtà, se allarghiamo la nostra indagine, tutte le culture hanno nella gerarchia uno strumento potente per organizzare la vita quotidiana.
Ken il Guerriero può essere visto come un tentativo di rompere idealmente quelle regole, intangibili ma esistenti. Il fatto che questo tipo di narrazione sia affidato a un film è davvero rilevante. Come se la vita reale avesse barriere così rigide che l’unica via di fuga possibile è sognare, scrivere, disegnare un mondo diverso.
Naturalmente, ogni percorso implica che ci sarà sempre qualcuno che ha iniziato quel viaggio prima di te. E, allo stesso tempo, ci sarà, prima o poi, qualcuno che ti guarderà nello stesso modo in cui hai guardato il tuo senpai.
C’è molto di buono e un enorme potenziale in questo.
Così, un banale manga può aiutarci a ricordare che in molte situazioni la gerarchia può portare a un fallimento sistemico se diventa qualcosa che rende ciechi i membri anziani di una comunità, rendendoli incapaci di riconoscere il talento e cuore ispirato da accudire, non da spegnere.
Buon compleanno, Kenshiro!
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