Io sono l’Universo…O forse no

Per spiegare la meravigliosa e complessa singolarità di ognuno di noi, si dice spesso che ognuno di noi è un universo.

Universo è un termine che ha una certa rilevanza negli insegnamenti lasciati dal Fondatore dell’Aikido. Per questo riteniamo importante soffermarci sul termine da lui usato, uchu 宇宙 e fare qualche considerazione.

Lo spazio-tempo

Uno sguardo prima di tutto ai due kanji:

  • 宇 (u) che possiamo tradurre come spazio, cielo, vastità
  • 宙 (chu) che possiamo tradurre come vuoto, tempo eterno.

Di conseguenza, uchu restituisce il concetto di uno spazio-tempo eterno, non finito. Una vastità infinita che, ovviamente non rappresenta solamente un costrutto fisico e scientifico ma ha radici nell’essenza stessa della spiritualità giapponese.

Il continuo divenire

Condensare in poche righe la prospettiva filosofica, religiosa e spirituale del Giappone è impossibile. Per approfondimenti rimandiamo alle ricerche di L.L.Wynn, che mostra come il concetto di spazio e di tempo nella cultura giapponese risentano fortemente dell’influsso buddista e quindi, in ultima analisi della struttura del pensiero induista da cui il buddismo origina.

Provando a fare una sintesi, là dove il sanscrito śūnyatā indicava quello che possiamo tradurre come vuoto, lo Zen lo rende come ku, 空. Una condizione di infinite possibilità, quindi differente dal concetto di nulla.

Nella prospettiva della spiritualità giapponese, soprattutto quella dello Zen, uchu, l’universo rappresenta il continuo dinamismo evolutivo di tutto ciò che esiste. E tutto ciò che esiste è interconnesso dal ku, dal vuoto, che in questo modo diventa ciò che rende possibile l’universo. In questa interconnessione l’origine shintoista dell’anima giapponese viene riconciliata con schemi filosofici di fatto importati dall’India e dalla Cina.

Morihei Ueshiba, il fondatore dell’Aikidō, usava spesso la parola 宇宙 nei suoi insegnamenti, sottolineando l’importanza dell’armonia con l’universo.

In confronto

E’ difficile pensare al Giappone senza far riferimento alla sua eccellenza nel campo scientifico e tecnologico. In questo senso, nella cultura giapponese uchu si riferisce all’universo fisico, che ricomprende lo spazio, le galassie e quanto in esso racchiuso. La modernità e la globalizzazione hanno contribuito a diffondere una prospettiva figlia delle scoperte scientifiche che hanno rivoluzionato le società occidentali prima e il mondo intero poi.

Del resto, quando un occidentale usa la parola universo, utilizza un termine che porta con sé qualche millennio di storia del pensiero filosofico e scientifico. Porta con sé Platone e la sua idea di un universo inteso come un riflesso imperfetto di idee eterne. Porta con sé Aristotele e l’universo di sfere concentriche di cui la Terra occupava il centro.

Porta un sistema geocentrico in cui la teologia di Sant’Agostino e San Tommaso potevano far convergere la cosmogonia allora concepita, aprendo la strada alla continua ricerca per integrare fede e ragione.

Porta infine allo sviluppo di un pensiero scientifico di continua indagine e di ricerca, tanto nell’infinitamente vicino e piccolo quanto, nelle missioni spaziali, nell’infinitamente lontano e vasto.

Perdersi nel vuoto

E così, mentre l’occidentale perdeva la sua autoreferenzialità e scopriva di non essere il centro del mondo fisico, iniziava anche a smarrire la sua anima, confondendo gli spazi immensi e le immense domande che sorgevano, come evidenze di solitudine anziché riflessi di una inimmaginabile dignità.

Sorse così l’individualismo, che più si nutriva di progresso, più amplificava il vuoto, andando a cercare il senso in un mondo che diventava via via più piccolo e interconnesso.

Non c’è da stupirsi quindi se tutti noi sentiamo il fascino evocativo dato dalle prospettive orientali.

Ware wa uchu nari – 我は宇宙なりlasciò detto Morihei Ueshiba. E la traduzione più in voga, “Io sono l’Universo” divenne come un faro abbagliante in una notte piena di falene in cerca di luce.

Che cosa c’è tutto sommato di più semplice che placare la sete di senso attraverso gesti esteriori e la pratica di una disciplina e delle sue forme codificate?

Una prospettiva in più

Guardiamo ancora una volta alle parole usate da Morihei Ueshiba. Nella frase usa uchu 宇宙, l’universo.
Il soggetto è ware, 我. Che è un modo raffinato di dire “io”. Sarà anche un modo raffinato ma ware ha anche l’accezione di ego.

Il verbo なり (なる, naru) ha il significato del divenire, del trasformarsi in qualcosa.

Riassumendo, quindi, non sarebbe sbagliato tradurre la frase in: “Io divento l’universo” o ancora “Il mio ego si trasforma nell’universo“.

Se quindi uchu rappresenta ciò che è in continua trasformazione e ciò che è infinita possibilità, il senso della frase potrebbe essere: “Quando il mio ego evolve, non c’è limite a quello che posso diventare “.

Che cosa intendesse esattamente Morihei Ueshiba, non lo sapremo mai con precisione. E che cosa un giapponese possa intendere, percepire e voler comunicare attraverso queste parole, non è così evidente.

Mentre è abbastanza evidente che la pratica della disciplina, così come è vissuta e intesa in Giappone, ha finalità, scopi e principi differenti dall’attribuzione di valori di cui un occidentale riveste la pratica stessa.

“Io sono l’universo” è radicalmente diverso da dire “Io divento l’universo”, che è ancora altro da dire “Il mio ego si trasforma nell’universo”.

E questo un occidentale, proprio perché occidentale e iper-logico, dovrebbe quantomeno ricordarselo.

Potrebbe così per esempio non solo ricordare il contenuto e la storia del termine che usa ma anche probabilmente cogliere meglio la caratteristica trasformativa che è propria di ogni disciplina.

L’ego, in continua purificazione, che cede spazio alla dignità del sé e alla sua completa manifestazione, alla sua trasformazione in ciò che, lasciato libero di esprimersi, può diventare.

Probabilmente si avvicinerebbe a quella che è stata l’esperienza del fondatore.

Quella di aver scoperto che ognuno di noi è un universo.

Disclaimer: Foto di Felix Mittermeier da Pexels

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