Sensemaking: trovare un senso

La complessità contemporaneamente affascina e spaventa. Ne facciamo esperienza quotidianamente. Siamo utenti di soluzioni tecnologiche complesse, siamo attratti da esecuzioni artistiche che catturano il nostro senso estetico. Contemporaneamente avvertiamo un senso di smarrimento nell’impotenza di poter trovare soluzioni a problemi ampi, di fronte ai quali ci sentiamo piccoli.

E’ quello che capita anche nella progressione di un percorso marziale. Percepiamo la possibilità di sviluppare competenze e allo stesso tempo tutti proviamo un certo grado di frustrazione. L’insegnante mostra un movimento e quando tocca a noi, non riusciamo a replicarlo. Oppure non riusciamo ad eseguirlo come lui. Certamente a livello mentale abbiamo capito ma il corpo non ha “compreso” che cosa deve fare.

Il programma tecnico è una parcellizzazione di schemi motori e relazionali complessi, sminuzzata per condurre il praticante passo-passo nella sua evoluzione. Serve per costruire uno schema mentale interpretativo di una nuova realtà.

Insegnante e allievo diventano così esploratori e costruttori di senso. Movimenti poco comprensibili, schemi relazionali poco chiari diventano man mano funzionali ad una vera e propria “narrazione marziale” che rimodella attitudini e comportamenti, ridefinisce il carattere, aggiunge prospettive a chi trova tempo, modo e coraggio di dedicarsi alla propria costruzione di persona.

Il sensemaking

La definizione del senso, o sensemaking è un concetto sviluppato dallo psicologo statunitense Karl Weick, lo stesso che ha introdotto nella teoria organizzativa il concetto di mindfulness.

La sua ricerca si è focalizzata sulla reazione degli individui di fronte a situazioni in rapido e continuo cambiamento e pertanto complesse, appunto. Nel corso degli anni Weick ha notato come le persone si organizzino principalmente per cercare di dare un senso di fronte alla complessità.

Non è solo un processo cognitivo individuale, ma un’attività sociale, continua e dinamica, dove il significato si crea attraverso interazioni, narrazioni e interpretazioni condivise. Di fronte alla complessità, il nostro sistema si attiva attraverso le sue facoltà ma quando gli schemi interpretativi della realtà non sono sufficienti a dare una risposta, avviene qualcosa di singolare.

Cooperiamo, interagiamo e concorriamo a costruire una narrazione che dia una risposta convincente alla domanda “Cosa sta succedendo?”, soprattutto quando le risposte non sono ovvie.

Sette principi, un senso

La ricerca di senso è un processo che si declina attraverso sette snodi. Sette principi su cui si fonda la teoria del sensemaking. La strutturazione di questo percorso:

  1. E’ connessa all’identità: interpretiamo gli eventi in base a chi siamo (ruolo, valori, esperienze).
  2. Ha natura retrospettiva: comprendiamo il presente guardando a ciò che è appena accaduto.
  3. Interagisce in continuazione con la dimensione fisica in cui vivamo: le nostre azioni contribuiscono a plasmare la realtà che poi interpretiamo (Weick usa il termine enactive)
  4. Interagisce a livello sociale: il significato si costruisce insieme, non da soli.
  5. E’ continua: non smettiamo mai di dare senso al mondo che ci circonda.
  6. Si fonda su indizi: ci affidiamo a segnali anche minimi per costruire una narrazione.
  7. Si orienta verso la plausibilità, non la verità assoluta: ciò che conta è che il significato sia utile, non perfetto.

Questo approccio ha un suo indubbio valore quando rapidi cambiamenti strutturali o culturali mandano in crisi la capacità di comprensione della realtà in cui la persona vive. E’ un fenomeno che è sotto gli occhi di tutti, anche nella cronaca recente. Viviamo di fatto all’interno della tempesta perfetta. Nel giro di pochi anni le nostre esistenze sono state impattate da eventi molto più grandi di noi.

Un mix di imprevisti, di novità, di strategie ambigue messe in atto per fronteggiarle, di nuovi modelli di leadership su scala globale e locale ha messo molte persone di fronte alla necessità di trovare un senso ed è sufficiente scorrere i contenuti dei social per trovare tutta una serie di narrazioni, tra loro opposte, dello stesso fenomeno. Lo ripetiamo: il sensemaking si orienta verso la plausibilità, non la verità assoluta.

Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha

Nell’organizzazione aziendale il sensemaking offre un contributo molto importante, creando momenti di riflessione collettiva in cui far emergere in modo chiaro i cambiamenti e le prospettive condivise. Momenti in cui il dialogo diventa la base sulla quale tutti avvertono il cambiamento e la leadership non è interpretata come l’imposizione di una linea ma come la facilitazione della lettura del cambiamento. La lettura condivisa del contesto è ciò che consente ad un’organizzazione di agire come un organismo coeso.

L’esperienza tuttavia insegna che anche metodologie organizzative avanzate come il sensemaking possono fallire. I segnali di questo naufragio sono un maggior disorientamento delle persone, l’assenza di dialogo, l’aumento dello stress e soprattutto l’attitudine a prendere decisioni per impulso. Una reazione rispetto alla complessità che porta a mettere in atto pensieri e decisioni scollegate dalla realtà

Questo accade quando la comunicazione è vaga, chi è al vertice non sa comunicare una direzione in modo chiaro, quando si ignora la dimensione sociale e narrativa di ciò che si condivide (un lavoro, un’attività).

Accade ancora di più quando si cerca di convincersi che la narrazione generata di fronte alla complessità abbia un senso anche quando non risolve assolutamente niente della situazione iniziale. Come diceva il buon vecchio Vasco: “Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha”.

Tornando all’Aikido

Come tutte le discipline marziali, anche l’Aikido è cambiamento. Il conflitto è uno dei principali catalizzatori del cambiamento, per definizione.

Anche l’organizzazione stessa dell’Aikido è cambiamento. Cambia il quadro normativo dello Sport nell’ordinamento dello Stato. Cambiano i responsabili delle organizzazioni. Cambia in continuazione la società e con essa le esigenze delle persone. Di conseguenza cambia il linguaggio e il modo con cui comunicare alle persone.

La pratica, per sua struttura, è un modello di sensemaking. Interpreta gli eventi (le tecniche) in base ai ruoli. L’allenamento è l’elaborazione retrospettiva delle informazioni provenienti dalle sessioni passate (keiko 稽古: la riflessione sul passato). Interagisce e fa i conti con le varie esperienze in cui siamo immersi, tanto è vero che il medesimo allenamento ha effetti diversissimi a seconda delle condizioni in cui si trova il praticante. Crea un significato di gruppo, una sorta di codice di comunicazione che si sviluppa insieme ai compagni. Ha una dimensione continua, che trascende i gradi. Si basa su frammenti di informazione. A certi livelli, anche la minima intenzione di attacco viene letta e contribuisce a cocreare l’evoluzione della risposta tecnica. Infine, ciò che conta è che il risultato dell’azione sia utile. Che la tecnica riesca e che, attraverso essa, la persona possa compiere il suo percorso di miglioramento.

Per concludere

Anche nel percorso marziale la ricerca di senso può fallire. Un tecnico non formato, un dirigente poco chiaro e ambiguo, non potranno dare una comuncazione chiara su dove andare insieme. Non riusciranno a facilitare l’elaborazione della complessità in cui ogni praticante si trova, nella sua quotidianità.

Aggrapparsi a quella narrazione granitica che è il programma tecnico e consgnarlo ai praticanti come risposta assoluta alle loro varie esigenze, che nascono dalla complessità della vita…Siamo sicuri che contribuisca a dare un senso? O un senso proprio non ce l’ha? Come praticanti e tecnici, noi siamo il programma tecnico? Qualcosa di più? Qualcosa di meno? Chi siamo?

Il praticante di oggi e di domani è una persona chiamata a domare la complessità, non solo attraverso l’esecuzione tecnica ma anche e soprattuto attraverso la costruzione condivisa di un senso più ampio, attraverso la tecnica.

Allo stesso modo il tecnico, che fino a ieri funzionava se era in grado di dare ordini, oggi e domani funzionerà nella misura in cui sarà un credibile facilitatore di cambiamento e di costruzione di senso.

Disclaimer: Foto di Thomas T su Unsplash

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