La parola esame suscita in molti di noi un brivido lungo la schiena e una fitta alla bocca dello stomaco.
Chi ha vissuto l’avventura di uscire indenne da un percorso universitario sa bene che ogni esame è stato un vero e proprio parto. Ogni fase della gestazione viene vissuta dallo studente sino ad arrivare al travaglio della notte prima della fatidica data dell’appello.
In base all’esito dell’esame lo studente viveva la domanda “com’è andata” del familiare o dell’amico di turno con immensa gioia e fierezza o con profonda tristezza e delusione.
Quand’ero all’ultimo anno di Giurisprudenza avevo creato una tabella (fatta rigorosamente a mano in quanto studentessa di una facoltà umanistica e non scientifica) con l’elenco di tutti gli esami da superare per arrivare alla laurea con evidenziati in verde quelli già superati al fine di avere un sollievo e uno sprone alla vista di quella tabella poiché mi restavano poche materie da studiare per raggiungere il traguardo.
In quegli anni vivevo ogni esame come un fine. Il mio obiettivo era semplicemente quello di superarlo per poter evidenziare in verde un’altra riga della mia tabella.
Sono già passati oltre 10 anni dalla mia laurea magistrale e solo dopo aver superato anche l’esame di abilitazione alla professione legale ho raggiunto la maturità per capire che tutti gli esami vissuti bene o male sono stati un mezzo per arrivare al mio presente e non un fine ormai datato.
Questa nuova prospettiva cambia radicalmente la percezione del mio vissuto.
Solo ora comprendo che sono stati soprattutto gli esami più difficili – quelli che ho dovuto ridare poiché la mia preparazione non era sufficiente a giudizio del professore nonostante i mesi di studio intenso, quei voti ritenuti ingiusti, quelle domande fatte apposta a trabocchetto per mettere in difficoltà l’esaminando – a darmi la forza di rialzarmi dopo una rovinosa caduta.
Con l’Aikido, oltre alle ukemi, ho rivissuto l’esperienza di sentirsi sotto esame.
Devo ammettere che per i gradi kyu ero veramente terrorizzata di dimenticarmi i nomi dei suburi di jo e di non eseguire in maniera corretta le tecniche richieste dal mio Maestro.
Ripensando a quegli anni posso ammettere che la mia più grande paura era quella di deludere il mio Maestro. Non vivevo l’esame per me ma per lui.
Grazie al mio Maestro ho col tempo capito che in Aikido gli esami sono fondamentali per superare le nostre paure e, soprattutto, per metterci allo specchio e poter fotografare un’istantanea del nostro percorso.
Sotto stress ci muoviamo diversamente che durante una semplice lezione di Aikido.
Il nostro campo di battaglia non è la strada ma la nostra mente.
Se ci mettiamo alla prova in un contesto di stress psicologico possiamo cogliere le nostre capacità di gestione del corpo e di come riusciamo ad eseguire le tecniche in maniera fluida e senza l’uso della forza oppure scorgere le nostre difficoltà attraverso movimenti rigidi, scattosi, irrispettosi del nostro uke.
Ogni esame è dunque un momento fondamentale di crescita .
Con lo shodan ho scoperto che la gestione della paura e dello stress deve partire soprattutto dalla corretta respirazione.
Se mi trovo in apnea vuol dire che sto bloccando i muscoli della respirazione e di conseguenza sto irrigidendo tutto il corpo.
Se riesco a mantenere un ritmo costante della mia inspirazione ed espirazione è più facile mantenere il corpo rilassato, flessibile e, di conseguenza, più veloce nei movimenti.
Quando il mio Maestro riterrà la mia preparazione adeguata per il nidan sarò ben felice di mettermi alla prova non solo per lui ma soprattutto per me.
Quello che mi fa capire che sono migliorata grazie all’Aikido è il fatto che se mi dicessero di dare domani l’esame per un grado dan o di ricominciare un nuovo corso di laurea lo farei volentieri senza alcuna paura, al massimo con un po’ di sana trepidazione.
Questo perché ho ben chiaro il fatto che l’esame è un mezzo per migliorarsi e non un fine di cui vantarsi!