Questo è un periodo di grandi possibilità. Una tra le tante è potersi fermare e aspettare che il silenzio porti con sé i doni che non tardano a manifestarsi. Riscopire un affetto. La lettura di un libro. La comprensione di un testo. La riflessione su quanto stiamo vivendo. La rielaborazione della nostra traiettoria. Lo specchiarsi con meno maschere del solito e vedersi per come si è.
Nonostante la fatica e le incertezze del momento, mi ritengo fortunato. Anche perché il Dojo di cui sono parte insieme a Sara non ha mai chiuso. Anzi. I rapporti si sono ulteriormente cementati e il confronto, facilitato dalle videoconferenze che hanno popolato le sere della settimana e i pomeriggi dei week end, è spaziato su tematiche ampie, differenti, fondanti.
Il post di questa settimana è, insieme, frutto e omaggio a questo percorso e rappresenta un personalissimo contributo per la ricerca personale e di gruppo a chi vorrà scaricare e leggere il documento allegato in fondo alla pagina.
In sintesi, e senza voler anticiparne il contenuto: chi sceglie di continuare una disciplina ha un’attitudine alla ricerca.
Nel suo percorso di ricerca, il praticante di Arti Marziali deve fare i conti con le proprie radici e con le proposte di un mondo sfaccettato e pluralista. Che attitudine ha o può avere il praticante, come singolo e come parte di un gruppo, di fronte alla comunicazione del sapere? Di fronte alla “scienza”? Che tipo di dialogo può esserci, quali tentazioni, quali possibili distorsioni possono emergere in questo confronto?
Personalmente, pur non definendomi “uomo di scienza”, non posso negare che la mia formazione scolastica, accademica e professionale è stata basata su un modello scolastico e sociale che ha ancorato alla visione del metodo scientifico gran parte delle sue, diciamo, certezze e aspettative e prospettive.
Allo stesso modo non posso contemporaneamente negare che certa impostazione assolutista che potremmo definire “tecnocratica”ha portato a forme di comunicazione, di organizzazione e di relazione che nella società sono state e sono fortemente divisive.
Da frequentatore del mondo delle Arti Marziali fin dagli inizi degli anni ’90 ho potuto assaporare anche la modalità con cui, nei nostri ambienti, ci si rapporta alla “scienza” e come la si comunica; i canali di formazione e di divulgazione che nei nostri ambienti spesso vengono accreditati e le tematiche che si diffondono nelle cerchie che orbitano intorno ai dojo; il modo con cui i marzialisti discutono -di presenza o sul web- su queste tematiche e anche, ahimé la tanta rissosità che ne deriva.
Ho ritenuto quindi utile per me interrogarmi su questo avvincente dialogo tra…Aikidoka (marzialisti) e la Scienza e provare a mettere a nudo i vari aspetti a volte non così fluidi di esso. Mi sono fatto delle domande, a volte anche scomode, sulle intenzioni che stanno dietro la mia -la nostra- ricerca. Ho provato a tracciare delle coordinate per orientarmi nella risposta.
E, una domenica di qualche settimana fa, è nato questo breve documento. Una ventina di pagine, che sono sgorgate piuttosto spontanee.
Non ho pretesa di originalità, né sono nelle condizioni di insegnare qualcosa a qualcuno. Ho provato semplicemente a posizionare la telecamera da nuove prospettive, a fare sintesi dello studio che parallelamente alla pratica alimenta il mio cammino e ad essere il più sincero possibile, circostanziando e argomentando i vari passaggi.
Commenti, critiche, ampliamenti, integrazioni sono più che benvenuti. Abbiamo la possibilità di riscoprire il tempo della responsabilità: di quello che diciamo, di quello che crediamo, di come comunichiamo. Dei nostri perché e dei nostri come.
Buona lettura, per chi vorrà.
Andrea
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Aikido e scienza la sfida del dialogo
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