Per un paio di mesi il silenzio è stata la colonna sonora delle nostre esistenze. In questa fase in cui si prova ad esorcizzare il lockdown tra mille incertezze, i rumori della città hanno ricominciato a fare da sfondo alle nostre attività.
Oggi ci facciamo guidare da Endo Sensei nella nostra riflessione. Non Seishiro, ma Shusaku, che è stato un illustre scrittore giapponese del ventesimo secolo.
沈黙, Chinmoku – Silenzio, è un romanzo del 1966, basato su una ricerca storica sul dolorosissimo capitolo della storia giapponese della persecuzione del cristianesimo nel Giappone feudale del 1600 e della successiva soppressione del culto ottenuta col sangue.
Lasciamo ad altre occasioni una riflessione che riteniamo necessaria per cercare di analizzare la prospettiva di tutta l’attività letteraria di Endo, ovvero concepire il cristianesimo come il punto di contatto tra Occidente e Oriente. Siamo praticanti di Arti Marziali occidentali: qualunque sia il nostro vissuto, siamo intrisi di valori che derivano dall’ambiente in cui siamo nati e in cui viviamo. Contemporaneamente, percepiamo l’eco di un sistema di valori veicolato dalla pratica marziale. Riteniamo che sia un punto di partenza imprescindibile, quello di un cristiano Giapponese per comprenderci sempre di più. Come occidentali, come cristiani (per chi lo è), come praticanti. Come detto, ci torneremo.
Il romanzo è ancora disponibile nella sua traduzione in Italiano ed è una lettura che consigliamo. Non intendiamo quindi svelarne il contenuto né il finale.
Ci soffermiamo dunque su un tema che ha attraversato le generazioni. Su un tema che oggi, in piena crisi globale per effetto di un invisibile virus, risuona in molti cuori. Il silenzio di Dio. La difficoltà, l’impossibilità, la sfida di cercare un senso di fronte alla sofferenza umana.
Ripetiamo: è un libro che merita la lettura, anche per demitizzare un po’ l’aura di armonia e perfezione che a volte aleggia nelle nostre fantasie pensando all’epopea dei samurai. Il protagonista, di fronte alla barbara uccisione di un bracciante che non accetta di rinnegare la fede esclama:
Ma, Signore, perché taci? Tu lo dovresti sapere, quel contadino mezzo cieco è morto qui, per te. Eppure questa stupida tranquillità continua, continua questa imperturbabilità di pieno mezzogiorno.
Solo il ronzio d’una mosca. E tu, come se questo fatto stupido e atroce non t’importasse niente, tu guardi dall’altra parte?
Quante volte, abbiamo fatto fisicamente silenzio col mokuso, al Dojo, ma non per mettere a tacere la mente e far emergere la dimensione della verità. Così, per meccanica abitudine?
Quante volte abbiamo difeso la nostra stupida tranquillità, reagendo o non agendo a quanto la vita ci poneva di fronte? Aspettando di poter trovare fuori da noi capri espiatori della nostra ignavia, della nostra paura, dei nostri limiti, dei nostri tradimenti?
Quante volte, in effetti, siamo stati noi mandanti ed esecutori spietati del silenzio di Dio?
Questi mesi hanno rimesso il silenzio al centro. Un silenzio che può rivelare assenza o presenza; che può preannunciare l’alba o accompagnare gli ultimi raggi di luce nel buio.
Il silenzio è, verosimilmente, la chiave di volta dell’intera nostra esistenza, in ogni suo aspetto. A casa, al lavoro, al Dojo. Sta a noi comprenderlo, accettandone il linguaggio non sempre comodissimo.
Signore, io mi risentivo per il tuo silenzio, dice il protagonista. Endo, fa rispondere al Cristo: “Io non stavo in silenzio. Soffrivo accanto a te”.
C’è una forma di comunicazione, tra maestro e allievo, che viene definita “da cuore a cuore –i shin den shin” ed è una forma non verbale, perché le parole, anche le più belle, le più ricercate, hanno un limite, che solo il cuore può oltrepassare. Non il fisico, non la mente, non i sensi.
L’augurio è che i vuoti, le distanze, gli strappi che questa situazione ha portato e continuerà a portare con sé possano essere riempiti di un silenzio che parla, perché abitato da una relazione.